Le decisioni dei giudici amministrativi si fermano davanti al civico numero sei di piazza Indipendenza a Roma, sede del Consiglio superiore della magistratura. La novità è di ieri. Il Plenum del Csm ha, infatti, deciso a maggioranza di chiedere alla Corte di Cassazione l’annullamento della sentenza del Consiglio di Stato che lo scorso maggio aveva bocciato la nomina di Michele Prestipino a procuratore di Roma, dando quindi ragione al procuratore generale di Firenze Marcello Viola.

Il pg del capoluogo toscano aveva presentato ricorso, avendo ragione sia al Tar del Lazio che al Consiglio di Stato, contro la decisione del Csm di preferirgli a marzo del 2020 Prestipino, allora procuratore aggiunto a Roma e magistrato per anni di estrema fiducia di Giuseppe Pignatone. I giudici della Quinta sezione del Consiglio di Stato, presieduta da Giuseppe Severini, senza girarci tanto intorno, avevano affermato che Prestipino non aveva i titoli per fare il procuratore di Roma. A differenza di Viola che aveva più titoli, più esperienza, più anzianità di servizio. Più tutto. L’unico elemento a favore di Prestipino era il “radicamento” territoriale, l’aver già svolto servizio a Roma e quindi essere già a conoscenza delle dinamiche criminali della Capitale. Il “radicamento” territoriale, non previsto da alcuna circolare del Csm, era stato comunque stroncato dai giudici di Palazzo Spada.

La sentenza che ha dato ragione a Viola, però, non ha spostato una virgola, essendo subito partita una girandola di ricorsi e controricorsi da parte di Prestipino. Assistito dall’avvocato numero uno d’Italia in questo momento, Massimo Luciani, capo dei costituzionalisti e uomo di fiducia della ministra Marta Cartabia, essendo stato incaricato di scrivere la riforma del Csm, Prestipino ha presentato ricorso anche in Cassazione, “lamentando il vizio di eccesso di potere giurisdizionale” del Consiglio di Stato, “per invasione della sfera di discrezionalità riservata al Csm su una pluralità di profili”. In altri termini, il Consiglio di Stato si sarebbe allargato, quello che i giuristi chiamano eccesso di potere. Il Csm gli è andato dietro ieri con una delibera “adesiva”, sposando in toto le tesi di Prestipino.

A nulla sono valse le rimostranze di chi, come i togati di Magistratura indipendente o il laici in quota Lega, chiedeva, molto semplicemente, che venissero rispettate le sentenze. Anche perché non ci sono precedenti di iniziative simili. Ha vinto chi da sempre sostiene la candidatura di Prestipino, affermando che bisogna essere “istituzionali” e difendere sempre e comunque l’operato del Csm. A prescindere, come direbbe qualcuno. È un modo, va detto, molto particolare di intendere la giurisdizione amministrativa ed è anche un po’ la narrazione di questi giorni secondo la quale le pronunce del Consiglio di Stato non sono sempre “coerenti”. Anzi, come affermato dal vice presidente del Csm David Ermini, il Consiglio di Stato deciderebbe i ricorsi dei magistrati «senza disporre di un adeguato patrimonio informativo». Una frase che solleva diverse perplessità dal momento che se un giudice decide «senza disporre di un adeguato patrimonio informativo» non è dato sapere su quali altri elementi egli possa, oltre al lancio dei dadi, motivare una sentenza.

In attesa che il presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi, anche nell’interesse di tutti coloro che si rivolgono con fiducia ai suoi giudici, pagando un importante contributo unificata, faccia sapere quali siano le fonti di conoscenza utilizzate, la decisione del Csm ha avuto l’effetto di far guadagnare altro tempo a Prestipino, che rimarrà dunque al proprio posto. Per Viola, ed è la seconda volta, oltre il danno la beffa. Dovendo adesso attendere che la Cassazione si pronunci sul ricorso, il Csm si guarderà bene dal dare esecuzione alla sentenza che gli dava ragione.
Viola, per chi si fosse perso qualche puntata, era stato votato il 23 maggio 2019 dalla Commissione per gli incarichi direttivi.

Il 29 maggio successivo, alla vigilia del Plenum che doveva ratificare il voto, Corriere, Repubblica e Messaggero, diedero la notizia dell’indagine nei confronti di Luca Palamara, pubblicando anche pezzi di conversazioni intercettate la sera del 9 maggio precedente all’hotel Champagne di Roma in cui Luca Palamara, i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti, oltre ad alcuni consiglieri del Csm, discutevano di Viola come successore di Pignatone. Il tutto, come poi appurato, all’insaputa dello stesso Viola. La fortissima campagna mediatica spinse, però, il Csm ad annullare la votazione del 23 maggio e ad escludere Viola da quella successiva, dove prevalse quindi Prestipino.