Nei confronti dei magistrati è possibile derogare al diritto alla riservatezza e alla segretezza delle comunicazioni in caso vengano ipotizzati nei loro confronti illeciti al principio di indipendenza, imparzialità e correttezza di cui all’articolo 101 della Costituzione. Per superare le recenti sentenze della Cedu che vietano l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche effettuate nell’ambito di un procedimento penale in procedimenti di altro tipo, come appunto quelli disciplinari, la Procura generale della Cassazione sembra voler rispolverare uno slogan di qualche anno fa, “intercettateci tutti”, molto in voga nel “Popolo Viola”, un mix di manettari assortiti e grillini della prima ora scomparso dai radar.

La questione è stata sollevata questa settimana durante il procedimento disciplinare al Consiglio superiore della magistratura nei confronti del deputato Cosimo Ferri, storico leader di Magistratura indipendente, la corrente di destra delle toghe, accusato di aver tenuto un comportamento “gravemente scorretto” nei confronti dei colleghi che concorrevano per il posto di procuratore di Roma e nei confronti dei consiglieri di Palazzo dei Marescialli, finalizzato a “condizionare le funzioni attribuite dalla Costituzione all’organo di governo autonomo della magistratura”. Le accuse nei confronti di Ferri si basano esclusivamente sulle intercettazioni effettuate, tramite il trojan inserito nel cellulare dello zar delle nomine Luca Palamara, durante l’incontro serale all’hotel Champagne dell’8 maggio 2019. Secondo recenti pronunce della Cedu, le intercettazioni telefoniche o con il trojan possono essere utilizzate soltanto per reati gravi e non per illeciti amministrativi o disciplinari, come invece la Procura generale della Cassazione fa per Ferri.

Per la Procura generale dovendosi accertare la violazione disciplinare è «ragionevolmente giustificata la recessività dell’interesse alla segretezza delle comunicazioni del magistrato». In tale prospettazione, l’unico ostacolo è, allora la “casualità” degli ascolti. E anche su questo aspetto la Procura generale non ha dubbi. Nella memoria con cui si chiede vengano respinte le tesi della difesa di Ferri, viene riportata la testimonianza del maresciallo del Gico della Guardia di finanza, Gianluca Orrea. Il tema riguarda la conversazione ambientale registrata nella tarda serata del 7 maggio 2019 fra Palamara e Luigi Spina, allora togato del Csm, dove viene fatto riferimento a tale “Cosimo” per un incontro la sera successiva. Per la difesa di Ferri è la prova che i due avevano programmato per l’8 maggio l’incontro con il parlamentare di Italia viva. La conversazione era stata ascoltata alle ore 18.42 dell’8 maggio, quindi alcune ore prima dell’incontro dell’hotel Champagne. La conversazione era stata anche classificata come “molto importante”. Una conversazione “predittiva” che renderebbe nullo l’ascolto in assenza di autorizzazione della Camera di appartenenza.

Orrea afferma che prima di quella conversazione non aveva individuato in Cosimo l’onorevole Cosimo Ferri. E questo anche se in una informativa del Gico del primo aprile Ferri era già stato compiutamente generalizzato. Ma tornando al “molto importante”, questo, secondo Orrea, era riferito al fatto che veniva citato l’avvocato Amara, l’ideatore del “Sistema Siracusa”, uno dei target dell’indagine di Perugia nei confronti di Palamara. Rileggendo bene la trascrizione, si legge che “era il testimone di nozze di… che l’avvocato di Amara era il testimone di nozze di Ielo”. Il riferimento, dunque, non è all’avvocato Amara ma all’avvocato di Amara, tale Salvino Mondello, che è stato testimone di nozze di Paolo Ielo, il procuratore aggiunto di Roma. Ielo, nel procedimento in cui Amara era indagato, si era infatti astenuto. L’allora procuratore Giuseppe Pignatone aveva respinto l’astensione. Ma questa è un’altra storia.