Da oggi pomeriggio, è una certezza, i problemi che affliggono da anni la magistratura italiana, ad iniziare dalla lottizzazione degli incarichi da parte delle correnti, saranno tutti risolti: Luca Palamara, l’ex potente presidente dell’Associazione nazionale magistrati, sarà radiato dalla sezione disciplinare del Csm. Il processo a suo carico è stato rapidissimo: meno di un mese. Un record assoluto. Chi ha avuto modo di parlare con Palamara in questi giorni l’ha sentito sereno. E non è una frase di circostanza. Palamara da tempo aveva capito che il suo destino era segnato. Ha provato a difendersi, assistito dal consigliere di Cassazione Stefano Giame Guizzi, uno dei magistrati più esperti di questioni disciplinari al Csm. Una difesa a 360 gradi che ha sollevato anche diverse eccezioni di costituzionalità. Ma tutto è stato vano. Quello che è successo non poteva essere archiviato con un semplice “buffetto” da parte della disciplinare del Csm, normalmente ben predisposta nel perdonare i magistrati che inciampano in qualche illecito. Il danno di immagine è stato senza precedenti per poter chiudere un occhio.

Riavvolgiamo, dunque, il nastro di questi mesi. Tutto inizia a settembre del 2018. Sono gli ultimi giorni al Csm per Palamara. Il magistrato è potentissimo. Capo delegazione di Unicost, il correntone di centro delle toghe, ha ricoperto l’incarico di presidente della Commissione per gli incarichi direttivi di Palazzo dei Marescialli nel quadriennio delle oltre 1000 nomine. Complice l’abbassamento dell’età pensionabile voluto dal governo Renzi, tanti magistrati sono andati via. Il Csm per coprire i posti vacanti ha lavorato a pieno regime, trasformandosi in un “nominificio”. Il Fatto Quotidiano pubblica la notizia che a Perugia è aperto un fascicolo nei suoi confronti. È un brutto colpo. Palamara è proiettato verso incarichi di prestigio, come del resto tutti i consiglieri uscenti. Lui punta a diventare aggiunto alla Procura di Roma. Il procedimento di Perugia non gli impedisce, però, di continuare la sua attività preferita: le nomine. Il vice presidente del Csm David Ermini, ad esempio, è una sua creatura. È stato Palamara a far convergere i voti sul responsabile giustizia del Pd, bruciando il professore di Forza Italia Alessio Lanzi e il laico pentastellato Alberto Maria Benedetti, appoggiato dalla sinistra giudiziaria. Il primo errore è questo.

Abbandonare le toghe progressiste per puntare sui colleghi di Magistratura indipendente, il gruppo di destra. Uno sgarro che certi ambienti non gli perdonano. Il fascicolo di Perugia era nato da una nota trasmessa dalla Procura di Roma che stava indagando su Fabrizio Centofanti, un faccendiere tipico del sottobosco capitolino. Centofanti aveva avuto un’idea geniale. Sponsorizzare i convegni dei magistrati. In questo modo è riuscito ad “agganciare” decine di toghe, dal Consiglio di Stato alla Corte dei Conti. Oltre ad offrire cene a base di vino bianco ghiacciato e crudi di pesce ai magistrati, Centofanti paga a Palamara dei soggiorni termali in Toscana e alcuni viaggi in località esotiche. I pm di Perugia vogliono capire il perché. Acquisiscono le dichiarazioni di Giancarlo Longo, un pm che aspirava a diventare procuratore di Gela. Longo, che patteggerà una condanna per corruzione a cinque anni, riferisce di aver saputo che due professionisti avrebbero dato 40mila euro a Palamara per questa nomina.

I pm di Perugia decidono allora, nella primavera dello scorso anno, di intercettare Palamara. Prima tradizionalmente e poi con il trojan.
Le indagini vengono affidate al Gico della guardia di finanza di Roma comandato dal colonnello Gerardo Mastrodomenico, un ufficiale fra i fedelissimi del procuratore Giuseppe Pignatone. A maggio del 2019 Pignatone deve andare in pensione. Per la prima volta ci sono i numeri per un cambio a Roma. Perché, bisogna saperlo, alcuni uffici giudiziari sono da sempre appannaggio di magistrati appartenenti alla stessa corrente. A Milano, ad esempio, i procuratori capo da oltre trent’anni sono tutti di Magistratura democratica. Ovviamente sarà una coincidenza. A Roma pare fatta per Marcello Viola, toga di Magistratura indipendente e procuratore generale a Firenze. Una manina mai identificata, una settimana prima del voto in Plenum, fa filtrare ai giornali le intercettazioni dell’incontro avvenuto la sera fra l’8 ed il 9 maggio all’hotel Champagne di Roma, un albergo di terza categoria vicino alla stazione Termini dove era solito alloggiare Cosimo Ferri. Ferri e Palamara avevano organizzato questo incontro a cui parteciperanno cinque consiglieri del Csm e Luca Lotti. Si discute di nomine. Fra cui, appunto, Roma. Dopo la pubblicazione della notizia dell’incontro sui giornali, Palamara viene perquisito ma non arrestato, sorte che sarebbe capitata a chiunque fosse accusato per i medesimi reati.

L’indagine di Perugia ha la prima discovery. I giornali, tre per la precisione, Corriere, Repubblica e Messaggero, pubblicano a puntate stralci di questo incontro. La notizia costringe alle dimissioni tutti i consiglieri coinvolti. Paolo Criscuoli è l’unico che resiste. Dopo la pausa estiva tenterà di entrare in Plenum ma gli verrà impedito da alcuni togati. Non si è mai saputo chi. La nomina di Viola viene annullata e al Csm si consuma il ribaltone. Autonomia&indipendenza, la corrente di Piercamillo Davigo raddoppia la sua rappresentanza. Il nuovo procuratore di Roma sarà Michele Prestipino, magistrato di fiducia di Pignatone. E poi c’è lui. L’Iphone di Palamara con le sue chat. Un assedio quotidiano. Anche a notte fonda. Si scoprirà che erano centinaia i magistrati che si rivolgevano a lui per un incarico, un fuori ruolo, un direttivo. Un caso celebre è quello di Marco Mescolini, futuro procuratore di Reggio Emilia che arriva ad inviare a Palamara una bozza di parere di nomina che il Csm dovrà poi votare. Tutti i beneficiati del “sistema” Palamara sono adesso scomparsi e sono al sicuro. Il procuratore generale Giovanni Salvi ha sdoganato “l’auto promozione”. Nessuna sanzione per il magistrato che “anche in modo petulante” chiama il consigliere per attività di self marketing.

Palamara fino ad oggi non ha raccontano nulla di quel sistema. Forse per timore della propria incolumità personale o forse perché sperava che non parlando si sarebbe salvato. Non è stato così. Sarebbe interessante, invece, conoscere come sono avvenute in questi anni le nomine degli uffici giudiziari più importanti del Paese. Se ci sono state trattative sottobanco con la politica, baratti, fascicoli archiviati e tenuti in sonno da parte degli aspiranti prima di passare all’incasso a Palazzo dei Marescialli. Palamara tutte queste cose le sa. Deve trovare il coraggio per una operazione verità. La Repubblica, non il quotidiano, gli sarà riconoscente per sempre.