Il Palamaragate e il processo
Il trojan è illegale, ma fa niente: acquisite intercettazioni dell’incontro Palamara-Lotti
Il giorno del Gico al Csm è arrivato. Saranno sentiti oggi pomeriggio a Palazzo dei Marescialli i finanzieri che hanno condotto, su delega della Procura di Perugia, le indagini nei confronti dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. Si tratta degli unici testimoni ammessi dalla Sezione disciplinare che, la scorsa settimana, ha cassato con un tratto di penna gli altri 127 testimoni richiesti dalla difesa di Palamara. Il drappello delle fiamme gialle sarà comandato dal colonnello Gerardo Mastrodomenico, attuale comandante provinciale di Messina. Mastrodomenico era, fino allo scorso anno, il comandante della seconda sezione del Gico di Roma.
Ufficiale da sempre di strettissima fiducia del “Pigna”, alias Giuseppe Pignatone, come disse una volta Palamara a Luca Lotti, fu colui che firmò l’informativa della svolta nell’indagine di Perugia, spostando il tiro sul sistema delle nomine a piazza Indipendenza. In particolare, è stato Mastrodomenico ad evidenziare nell’informativa il ruolo di Palamara come top player nell’attribuzione degli incarichi. Ed è stato sempre lui quello che “attenzionò” i rapporti fra il magistrato romano e il collega Cosimo Ferri, deputato di Italia viva, ex Pd, e leader storico della corrente di destra, Magistratura indipendente. Nell’informativa indirizzata ai pm umbri Mario Formisano e Gemma Miliani, Mastrodomenico evidenzia che le captazioni effettuate sul telefono di Palamara hanno consentito di rilevare che l’ex presidente dell’Anm fosse «effettivamente in grado di gestire ed orientare i voti espressi dai magistrati appartenenti all’associazione Unicost che di altre associazioni di magistrati».
I rapporti fra Palamara e Ferri durante il periodo di “monitoraggio” sarebbero stati caratterizzati da non ben definiti “elementi di opacità”. Nell’ informativa, infatti, non è ben evidenziato in che cosa consista tale “opacità”. A supporto delle sue affermazioni, Mastrodomenico produce il resoconto dettagliato di un servizio di “ocp” (osservazione, controllo e pedinamento) effettuato da una squadra di quattro finanzieri nei confronti dei due magistrati in occasione di una cena, avvenuta il 10 aprile del 2019, al prestigioso ristorante di pesce della Capitale, Il San Lorenzo. L’evento conviviale venne organizzato dal notaio Biagio Ciampini di Teramo.
Fra i partecipanti, oltre a Palamara e Ferri, l’ex vice presidente del Csm Giovanni Legnini, il magistrato della Corte dei Conti Andrea Baldanza, attuale vice capo di gabinetto del Mef, l’ex consigliera del Csm Paola Balducci. Tutti immortalati nel dossier fotografico prodotto dai finanzieri appostati con i teleobiettivi nella centralissima via dei Chiavari. Ascoltato Mastrodomenico, sarà il turno dei marescialli Roberto Dacunto, Gianluca Burattini e dell’appuntato Fabio Del Prete. Erano loro quelli che accendevano e spegnevano il trojan. La difesa di Palamara, rappresentata dal consigliere di Cassazione Stefano Giame Guizzi, punterà a dimostrare che gli incontri fra i due magistrati non erano mai casuali ma sempre programmati per tempo. Non essendoci quindi “casualità”, l’intercettazione con il trojan non poteva essere effettuata in ossequio alle prerogative di Ferri in quanto parlamentare.
Era stata la stessa pm Gemma Miliani ad ordinare con una nota formale al capo del Gico di spegnere il trojan quando Palamara si fosse trovato con dei parlamentari. Nota che invece venne disattesa. La prevedibile risposta dei finanzieri sarà che questi ascolti venivano effettuati “a posteriori” e non nell’immediatezza dell’ascolto. Quindi, ad esempio, dell’incontro con Palamara, Ferri e Lotti all’hotel Champagne, che poi determinò il terremoto al Csm, i finanzieri si sarebbero accorti solo “a cose fatte”. A smentire tale tesi, i messaggi che Palamara e Ferri si scambiavano per fissare i loro appuntamenti.
Le attività di ascolto non vennero effettuate, come prevede la norma, presso la sala ascolto della Procura, ma, dopo aver remotizzato gli apparati, direttamente presso la sede del Gico di Roma in via Talli. Un aspetto evidenziato da Guizzi e sul quale i finanzieri, che chiesero di essere autorizzati dai pm umbri, dovranno fornire spiegazioni.
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