Sembra che il Csm voglia bruciare i tempi e trasformare il processo a Luca Palamara in una gara di velocità. Tipo Berruti e Mennea. Addirittura le voci dicono che si vorrebbe chiudere tutto nella prossima seduta di lunedì, o al massimo martedì. Condanna all’unanimità e chiuso lì. Perché? Beh, naturalmente c’è di mezzo la questione della pensione di Davigo, della quale abbiamo parlato nei giorni scorsi (cioè la scadenza del 20 ottobre quando Davigo, suo malgrado, dovrà lasciare la magistratura) ma soprattutto c’è la determinazione a non lasciare a Palamara né lo spazio né il tempo per difendersi, perché si teme che la difesa di Palamara possa comportare l’emergere di molto molto fango dai tombini ben chiusi della magistratura, e coinvolgere anche molti nomi eccellenti oltre che il sistema in sé. Quindi: correre, correre, correre. Questo è l’ordine che viene da tutte le parti. Anche dall’alto? Beh, spesso gli ordini vengono dall’alto.

Mentre i consiglieri del Csm si organizzano per liquidare in tempi lampo il reprobo Palamara (unico reprobo riconosciuto), il procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, calca la ribalta e si assume in prima persona le responsabilità dell’operazione “Palamara-speedy”. Nei giorni scorsi aveva scritto e diffuso una circolare nella quale spiegava che l’autopromozione dei giudici presso i togati del Csm che dovranno poi decidere le loro promozioni, non è una attività proibita. E che dunque non vanno aperte indagini sul comportamento di chi ha tentato – spesso con successo – le arrampicate di carriera. Affermando così il principio che i magistrati non sono semplici cittadini ma cittadini superiori. Lo stesso identico comportamento può senz’altro essere considerato “traffico di influenze” o “voto di scambio” per un esponente politico (il quale può eventualmente essere arrestato, se non è protetto dall’immunità, e detenuto anche per alcuni anni in attesa di processo) ma non per un magistrato il quale invece dispone di un diritto speciale a far figurare le influenze esercitate o richieste come puro e semplice candido self marketing.

Ieri Salvi è intervenuto di nuovo. Non su La7, come in genere fa il collega Nicola Gratteri (del quale abbiamo parlato ieri su queste colonne, un po’ stupiti per la spavalderia con la quale alterna la sua funzione di Pm a quella di showman in Tv) ma dalle colonne del Corriere della Sera. Il Corriere appartiene sempre allo stesso gruppo editoriale di La 7, ma pretende, di solito, un grado di cultura un po’ più alto. E non mi pare che ci siano dubbi sul fatto che Giovanni Salvi, effettivamente, sul piano culturale e anche della preparazione giuridica sia su un piano diverso da quello di Gratteri. Sul Corriere però ha espresso concetti anche decisamente più aggressivi di quelli del Procuratore di Catanzaro. Ha spiegato che nelle 60mila pagine delle intercettazioni del telefono di Palamara non ci sono reati di altri magistrati. Non è reato, né illecito disciplinare, se Pm e giudici vanno a cena insieme sulle stesse terrazze, non è reato, né illecito, chiedere a Palamara di essere promossi, non è reato né illecito fare accendere o spegnere il trojan a seconda di chi sta vicino a Palamara in quel momento, non è reato né illecito disciplinare organizzare Procure e tribunali (e probabilmente anche sentenze) sulla base dei rapporti di forza tra le correnti. Ammenochè…

Ammenochè tutto ciò non si svolga nell’Hotel Champagne. Ecco, questa – ha spiegato Salvi sul Corriere, rispondendo all’articolo dell’altro giorno di Paolo Mieli (primo, e unico finora, articolo critico verso la magistratura apparso sulla grande stampa) – è l’unica eccezione. I conciliaboli all’Hotel Champagne vanno puniti severamente, quelli sì e solo quelli. Perché? Perché a quei colloqui hanno partecipato Ferri e Lotti che sono due politici. Salvi ci spiega che un Pm può tranquillamente andare a cena col giudice che dovrà decidere il suo processo, ma non con un politico. E che se è andato a cena col politico non c’è bisogno di prove del suo reato (dice proprio così) ma bastano le intercettazioni. Perché le intercettazioni all’Hotel Champagne sono sufficienti per condannare, anche senza processo, e quelle fuori dall’Hotel Champagne, anche se molto più gravi, non servono nemmeno a far partire una inchiesta? L’unica spiegazione logica è che le intercettazioni all’Hotel Champagne erano illegali (non si può intercettare un parlamentare) mentre le altre erano legali. Non sto mica scherzando, eh. L’idea che la vera giustizia sia l’illegalità è una idea che ormai dilaga.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.