È arrivata “l’amnistia”. Solo, però, per i magistrati che chattavano con Luca Palamara alla ricerca di una nomina o di un incarico. Ne dà notizia il sito toghe.blogspot.com, la piattaforma creata dai magistrati “non correntizzati”, che ha pubblicato i passaggi salienti delle linee guida redatte dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi per la verifica di eventuali profili disciplinari a carico dei colleghi “chattatori”. Le toghe che hanno intasato di messaggi il telefonino dell’ex presidente dell’Anm da questa settimana, dunque, possono dormire sonni tranquilli. Tutti perdonati ad iniziare, per esempio, dal pm Marco Mescolini che per perorare la sua nomina a procuratore di Reggio Emilia chiamava Palamara “il re di Roma”. La scriminante è rappresentata dall’attività di “self marketing”, cioè l’autosponsorizzazione del magistrato con i consiglieri del Csm. «L’attività di autopromozione – scrive Salvi – effettuata direttamente dall’aspirante, anche se petulante, ma senza la denigrazione dei concorrenti o la prospettazione di vantaggi elettorali, non può essere considerata in violazione di precetti disciplinari».

Il motivo, sempre secondo Salvi, sarebbe dovuto al fatto che l’attività di self marketing «non essendo ‘gravemente scorretta’ nei confronti di altri è in sé inidonea a condizionare l’esercizio delle prerogative consiliari». Nessuna punizione, neppure un “buffetto”, per il magistrato “petulante” a caccia di raccomandazioni. Anzi, un bel colpo di spugna sulla montagna di chat che hanno creato in questi mesi più di un imbarazzo. Dal momento che la Procura generale è l’ufficio che condivide col ministro della Giustizia l’iniziativa disciplinare, vale a dire l’esercizio dell’accusa, sarebbe da accogliere con favore “l’anelito garantista”, commentano le toghe sul blog, stigmatizzando il fatto che Salvi abbia voluto lanciare un “salvagente” a tutti i magistrati chattatori che per perorare i propri meriti si erano rivolti direttamente al consigliere amico, piuttosto che affidarsi solo al proprio cv.

Vale la pena ricordare che i comuni cittadini quando vengono sorpresi a brigare con l’assessore o col direttore di turno finiscono direttamente al gabbio. Secondo “l’indulgente” procuratore generale, il self marketing rientrerebbe nel necessario bagaglio professionale di ogni magistrato aspirante ad un incarico direttivo: se lo fa il collega allora anche il competitore è legittimato a farlo, anzi deve. Il richiamo al “vantaggio elettorale” sarebbe improprio in quanto il consigliere destinatario delle pressioni non è rieleggibile. «Quel vincolo elettorale, semmai, proviene dal passato e l’auto-promozione del petulante è legittimata da un patto precedentemente sancito, espressione di un sistema che, v’è da credere, ne esce incredibilmente rafforzato», puntualizzano sul blog. «È una scorrettezza gravissima – aggiungono – specialmente se riferita ad un magistrato. Ed è anche violazione di specifiche regole di condotta implicite nella regolamentazione dei concorsi».

Quale sarà, allora, il destino dei magistrati «che conformemente alla disciplina si limitano a presentare la domanda e si astengono dal sollecitare rapporti diretti ed amicali con la commissione esaminatrice?». Se i petulanti magistrati devono essere assolti, perché allora condannare Palamara che raccoglieva le premure? La domanda è d’obbligo dopo aver letto la nota di Salvi. Ed a proposito di Palamara, ieri sono stati sentiti al Csm i finanzieri, ad iniziare dal colonnello Gerardo Mastrodomenico, ex comandante del Gico di Roma, che hanno condotto le indagini nei suoi confronti. Abbiamo eseguito gli ordini, hanno detto in coro, prendendo le “distanze” dai pm Gemma Miliani e Mario Formisano titolari del fascicolo. Furono i pm a voler inserire il trojan nel telefono di Palamara, hanno ricordato. «Palamara era il referente di tantissimi magistrati da Palermo a Milano in tema di nomine», ha detto in particolare Mastrodomenico, sottolineando che ai pm umbri vennero inviate, senza fare alcuna selezione, tutte le conversazioni intercettate fra l’ex presidente dell’Anm ed i colleghi. «Erano conversazioni che non c’entravano nulla con il capo d’imputazione a carico di Palamara», ha aggiunto il colonnello. Ma i pm le vollero ascoltare lo stesso.