È caccia alla “talpa” che informò a maggio dello scorso anno i giornali degli incontri di Luca Palamara con i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti. L’ex presidente dell’Anm ha deciso di passare al contrattacco e ieri, in apertura dell’udienza disciplinare a suo carico, ha depositato una durissima memoria in cui ricostruisce quanto accaduto fino a oggi, ponendo interrogativi al collegio che dovrà decidere del suo futuro professionale. La sua rimozione dall’ordine giudiziario è, infatti, sempre più probabile alla luce delle ultime incolpazioni da parte della Procura generale della Cassazione. Tutto inizia con un articolo a firma di Carlo Bonini apparso sul quotidiano La Repubblica il 29 maggio 2019 ed intitolato “Il mercato delle toghe: un patto per prendere la Procura di Roma”.

Nel lungo articolo veniva effettuata una particolareggiata ricostruzione dell’incontro, svoltosi la sera del 9 maggio precedente all’hotel Champagne di Roma, alla presenza di Palamara, Lotti, Ferri e cinque consiglieri del Csm. Fra gli argomenti di discussione, le nomine di alcuni importanti uffici giudiziari, ad iniziare dalla Procura della Capitale post Giuseppe Pignatone. Bonini, in due passaggi, aveva scritto che la conoscenza giornalistica di quei fatti sarebbe derivata da “diverse e qualificate fonti del Csm”. All’epoca le indagini a carico di Palamara erano in pieno svolgimento. Il trojan inoculato nel suo telefono e che registrò l’incontro era stato attivato da qualche settimana. I pm di Perugia, titolari del fascicolo, cercavano risconti alla maxi mazzetta di 40mila euro che sarebbe stata data al magistrato romano per la nomina, poi non avvenuta, di Giancarlo Longo a procuratore di Gela.

I riscontri delle “captazioni” erano a conoscenza, nell’ordine, del Gico della Guardia di Finanza che materialmente procedeva agli ascolti, dei pm di Perugia e, appunto, dei vertici del Csm. I magistrati umbri avevano trasmesso a Palazzo dei Marescialli le prime risultanze già agli inizi di maggio del 2019. Chi potrebbe, allora, essere d’aiuto nella caccia alla talpa? La risposta la fornisce lo stesso Palamara: il segretario generale del Csm Paola Pieraccini. «Al fine di accertare la veridicità, o meno, di tale circostanza», la dottoressa Pieraccini, magistrato di Cassazione, dovrà riferire «sulle verifiche eventualmente disposte per riscontrare se vi sia stata, o meno, tale propalazione verso la carta stampata». La condotta del magistrato, prosegue Palamara, sarebbe «suscettibile di integrare, almeno astrattamente, se non il delitto di rivelazione di segreto d’ufficio, quantomeno l’illecito disciplinare consistente nella “violazione del dovere di riservatezza sugli affari in corso di trattazione” ove fosse stata, in ipotesi, realizzata da appartenenti all’ordine giudiziario».

Palamara era già stato vittima in passato di una fuga di notizia. Era accaduto nel periodo in cui era n. 1 dell’Anm ed il Csm stava valutando la sua posizione disciplinare per fatti relativi alla sua attività di pm a Roma. Che il Csm fosse un “colabrodo” era comuque stato lo stesso procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio ad affermarlo in alcune occasioni. Il segretario generale del Csm è una figura chiave a piazza Indipendenza, interfacciandosi direttamente con il Quirinale. Per settimane Repubblica, Corriere e Messaggero pubblicarono atti d’indagini di Perugia. E non risulta che siano state aperte indagini per verificare la fuga di notizie. Palamara è poi tornato sulla mancanza di serenità dell’attuale Csm che deve giudicarlo. Il magistrato ha ricordato il ruolo avuto nell’accordo politico che portò all’elezione dell’attuale vice presidente David Ermini (Pd).

La nomina venne decisa durante una cena presso l’abitazione dell’avvocato Giuseppe Fanfani (Pd), ex membro laico del Csm nella consiliatura 2014/2018. Fu Palamara a convincere i togati di Magistratura Indipendente, fino a quel momento orientati a votare il professore milanse Alessio Lanzi (Forza Italia) a convergere sull’ex responsabile giustizia dei dem. La scelta di Ermini causò la rottura dello storico patto di Unicost, la corrente di Palamara, con la sinistra giudiziaria di Area che aveva, con l’avallo del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, puntato sul grillino Alberto Maria Benedetti. I componenti del Csm avrebbero poi già espresso “reiterate prese di posizione sull’indagine”. Tutte contro di lui. Un membro del Consiglio avrebbe parlato di “metodo mafioso”. Un altro di nuova P2. Anche Ermini “avrebbe fatto valutazioni che non lasciano dubbi”. Ieri è stato il giorno delle questioni preliminari. Ad assistere Palamara, il consigliere di Cassazione Stefano Giame Guizzi. La disciplinare ha respinto. Prossima udienza a fine mese.