«È il riflesso della pratica del “cherry picking”, letteralmente della selezione delle ciliegie, una tecnica studiata da tempo nel diritto anglosassone delle prove», esordisce Vincenzo Maiello, avvocato e ordinario di diritto penale all’Università Federico II di Napoli, commentando la richiesta dei difensori dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara di trascrivere diverse telefonate che non sono state valorizzate dagli inquirenti. Ieri si è tenuta a Perugia l’udienza stralcio. Il gip Lidia Brutti ha rinviato per repliche al prossimo 30 luglio.

Professore come funziona il cherry picking?
Premesso che si tratta di un fenomeno disdicevole e riprovevole, in pratica consiste nella selezione delle prove, scegliendo solo quelle favorevoli alla tesi dell’accusa e omettendo le fonti di conoscenza favorevoli all’imputato.

È una pratica diffusa anche nel nostro Paese?
Non è rara. Almeno nella fase delle indagini, si nota spesso una lettura unidirezionale dell’attività investigativa che porta il pm a costruire imputazioni e, prima ancora, ad assumere iniziative intermedie, che negli sviluppi della vicenda giudiziaria, quella che segue la discovery dell’intero compendio probatorio, finiscono per rivelarsi “tigri di carta”.

Come si ci è arrivati?
Negli anni abbiamo assistito ad una grande sovraesposizione del ruolo dei pm, un fenomeno che comunque intreccia diversi piani.

Nel senso che la giustizia penale ha invaso tutti gli spazi della società?
Il pm fornisce la risposta che l’opinione pubblica in cerca di tranquillità vuole sentirsi dire.

Tutto si incentra sulle indagini preliminari?
Le indagini ormai sono state caricate, per una molteplicità di ragioni, del compito di istituzionalizzare la risposta alle ansie di giustizia e di rassicurazione che percorrono anche la nostra società e che sono debitrici delle spinte emotive e simbolico-espressive di matrice populistica.

Inutile, allora, insistere che bisognerebbe aspettare le sentenze?
In tale ottica, quello di aspettare le sentenze, come dice Davigo, è un lusso che non ci si può permettere.

E il mantra che il pm è un magistrato e quindi raccoglie anche le prove a favore dell’imputato?
Ma non lo fa! La disposizione che impone quell’obbligo, l’art. 358 del codice di procedura penale, esprime un’ipocrisia del sistema. O, a tutto concedere, è stata una sua promessa non mantenuta.

Professore, veniamo un momento al procedimento disciplinare a carico di Palamara che inizierà il prossimo 21 luglio al Csm.
Sì.

Palamara ha presentato una lista di oltre cento testimoni. Tutti i commentatori dicono che però saranno
falcidiati.
Il procedimento disciplinare deve replicare in via tendenziale i caratteri di quello penale. Ricordo che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in particolare negli articoli 6 e 7, prevede un sistema di garanzie applicabili alla materia penale.

E quindi?
Dal momento che il processo disciplinare può portare all’applicazione di sanzioni che includono la radiazione dalla magistratura, vale a dire misure connotate da gravità ed afflittività di contenuti, la sua disciplina va attratta all’area delle garanzie che la Cedu riserva al processo penale.

Servono allora le medesime impostazioni di garanzia?
Ovvio. Anche in un ambito disciplinare con le caratteristiche anzidette, va implementato il canone della terzietà del giudice e osservate le garanzie del contradditorio e della parità delle armi.

Nessun taglio di testimoni?
Non mi spingo ad affermarlo con assertività, perché si tratta di una valutazione che farà il giudice disciplinare. Dico solo che se attraverso le richieste escussioni testimoniali, il dottor Palamara vorrà ricostruire un contesto utile a definire un diverso significato dei suoi comportamenti, non gli si potrà negare questa manifestazione del suo diritto di difendersi provando.

Sulla composizione dei collegio?
Ci deve essere un giudice terzo.

Come intendere questa terzietà nel disciplinare?
Non aver mai condiviso nel passato e nel presente, e non avere in programma di farlo in un imminente futuro, interessi con l’accusato e l’accusatore.

Dunque?
Un giudice equidistante dalle parti e disinteressato rispetto all’oggetto del giudizio. Non è disinteressato chi con Palamara ha partecipato a tornate elettorali, a convegni di corrente, a sponsorizzazioni personali in vista del conferimento di incarichi, ecc.

Si dovrebbe astenere chi ha condiviso questo percorso?
Mi limito a sottolineare cosa sarebbe auspicabile che avvenisse, nella prospettiva del diritto europeo dei diritti umani. In particolare, a quali caratteri dovrebbe essere conformata la composizione della sezione disciplinare.

In caso contrario, Palamara potrà ricorrere alla Corte dei diritti dell’uomo?
Potrebbero aprirsi spazi di tutelabilità convenzionale dei suoi diritti. Occorrerà da parte della sezione disciplinare grande cautela e attenzione. Le attese di giustizia sono tante e non si deve esporre a rischio la procedura.