«Serve una norma di legge che renda tassativi i casi in cui si può far valere la responsabilità contabile di un magistrato»: ne è convinto Vincenzo Maiello, avvocato e ordinario di Diritto penale all’università Federico II di Napoli.

Professore, dal bilancio della Procura di Napoli si apprende che per le indagini si spendono 21 milioni di euro l’anno, più di 12 dei quali in intercettazioni: tutto normale?
«Bisognerebbe rapportare le spese sostenute per le attività investigative all’esito delle sentenze pronunciate dai giudici, ma purtroppo non disponiamo di quest’ultimo dato. Ciò che rileva più di ogni altra cosa, comunque, è il fatto che sia rispettato il requisito dell’extrema ratio nel ricorso alle intercettazioni. In altre parole, questo strumento va utilizzato solo quando non ci sono alternative, visto che comporta la compressione del diritto alla riservatezza delle persone».

In base alla sua esperienza le intercettazioni vengono usate in modo corretto?
«In tanti casi il ricorso alle intercettazioni è una scelta comoda e pigra volta a percorrere strade investigative meno onerose e impegnative. Quasi una scorciatoia che però, alla lunga, comporta anche un affievolimento delle complessive capacità degli apparati investigativi».

C’è chi ritiene che un pm debba essere sempre chiamato a rispondere delle migliaia di euro spese in intercettazioni, o in altri atti investigativi, nel caso in cui questi non abbiano portato ad alcun risultato concreto: che cosa ne pensa?
«È ragionevole prevedere la responsabilità contabile dei singoli magistrati che abbiano fatto ricorso o autorizzato attività investigative sproporzionate nei loro fini e capaci di ledere il diritto alla riservatezza di un alto numero di persone. Un magistrato, cioè, dovrebbe essere chiamato a rispondere delle somme utilizzate per le indagini in caso di discrepanza macroscopica tra quelle stesse cifre e gli obiettivi dell’inchiesta. Perciò serve una disciplina legislativa ad hoc che, in modo accurato, renda tassativi i casi di responsabilità erariale dei magistrati».

Responsabilità solo erariale?
«Un magistrato dovrebbe essere chiamato a rispondere anche in sede disciplinare in caso di utilizzo macroscopicamente illegittimo e non sorvegliato di strumenti come le intercettazioni. In queste ipotesi, al ricorrere dei requisiti del dolo o della colpa grave, il Csm non potrebbe non pronunciarsi».

Però c’è da dire che la Costituzione obbliga i magistrati a svolgere le indagini: ciò impedisce di contestare loro la responsabilità erariale per inchieste che sono tenuti a condurre?
«È ipocrita e ingenuo ritenere che a ogni notizia di reato debba corrispondere un’indagine o un processo. Tanto è vero che, nel vaglio delle notizie di reato, i magistrati seguono dei criteri di priorità parzialmente disciplinati da circolari, direttive, risoluzioni. Sarebbe il caso di uscire dall’ambiguità di questo principio costituzionale che, di fatto, non viene rispettato. Ma il vero limite all’uso sconsiderato delle intercettazioni dovrebbe essere un altro».

Quale?
«Serve maggiore rigore nel vaglio delle motivazioni con cui viene autorizzato il ricorso a quello strumento investigativo. Se si consolidasse una giurisprudenza in tal senso, nel medio-lungo periodo l’utilizzo delle intercettazioni diminuirebbe sensibilmente».

Come valuta la scelta di diffondere il bilancio sociale della Procura di Napoli?
«Quella del procuratore Melillo è una decisione apprezzabile: ci consente di discutere della giustizia penale sulla base di numeri e dati concreti».

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.