«Siamo alla follia. Negli anni si è degenerato con il ricorso alle intercettazioni che ora vengono usate non solo per acquisire le prove dei reati, che già di per sé è una barbarie, ma anche per verificare se sussistono notizie di reato». Il magistrato ed ex senatore Luigi Bobbio lancia una proposta, una proposta di riforma: «Occorre riformare il codice di procedura penale per escludere la natura probatoria delle intercettazioni, così come accade in molti Paesi civili e giuridicamente avanzati». Eccola la proposta, l’idea per riportare le intercettazioni nei limiti della loro effettiva efficacia come mezzo di indagine (e non comunque l’unico) e non più come mezzo di prova. Il discorso può essere spiegato con un esempio: «In un’indagine per droga la prova nel processo deve essere il sequestro a cui magari si è giunti ascoltando le conversazioni fra gli indagati, ma non il solo contenuto dei loro dialoghi».

«La politica però – dice Bobbio – non ha abbastanza coraggio per affrontare una simile riforma, ha ancora troppa paura dell’obiezione che i delinquenti senza le intercettazioni potrebbero farla franca». Nelle sue indagini, quando era magistrato del pool antimafia di Napoli, Luigi Bobbio ha fatto ricorso anche ad attività di intercettazione. «Sì, è vero, io ne ho fatto un uso importante ma in questi vent’anni noto che il sistema è degenerato diventando un sistema malato per l’uso che si fa delle intercettazioni intese come scorciatoie per le indagini e i fatti dimostrano che da anni c’è un uso delle intercettazioni spesso decontestualizzato e che aleatorio è il loro contenuto probatorio». E non è tutto, perché con indagini basate quasi esclusivamente su prove raccolte attraverso telefonate e conversazioni spiate il processo diventa un fatto per ricchi, accedere a quelle prove arriva a costare decine di migliaia di euro e difendersi da quelle prove diventa onerosissimo.

«Un’altra piaga – osserva Bobbio – sono le conversazioni cosiddette non interessanti che quando le difese le fanno trascrivere diventano interessantissime. In questo caso il processo penale diventa il processo dei ricchi perché solo chi ha la possibilità di permettersi un avvocato di grido e un perito trascrittore di qualità può dimostrare, con una trascrizione integrale delle conversazioni intercettate, l’inesistenza della tesi accusatoria. Ma chi non può permetterselo deve rassegnarsi ad affrontare il processo con le prove raccolte da pubblico ministero e polizia giudiziaria». La polizia giudiziaria ovvero gli investigatori: sono un altro aspetto di questo delicato e complesso tema. «Sarebbe importante ripensare a indagini vere, condotte alla vecchia maniera, anche con le intercettazioni ma senza adagiarsi solo su queste. La polizia giudiziaria le vorrebbe ma occorrerebbe liberarla dal guinzaglio del pm, perché – ragiona l’ex magistrato anticamorra – è importante che la polizia giudiziaria recuperi la sua piena autonomia di gestione delle investigazioni».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).