La fiducia posta dal Governo alla Camera dei Deputati non ha consentito lo sviluppo del dibattito parlamentare sulla disciplina delle intercettazioni. Strano destino quello del decreto attuativo di cui nessuno può dire quali siano le vere ragioni di urgenza. Approvata nel 2017 la nuova disciplina, qualcosa entrò immediatamente in vigore senza che, peraltro, nessuno ne sia rimasto sconvolto e consentendo a prassi giudiziarie di sterilizzare immediatamente le poche innovazioni di un qualche significato. Basti pensare che invocando la par condicio – tra i cronisti- sono nati protocolli che da allora consentono l’immediata consegna degli atti del procedimento ai giornalisti.

Va ricordato che quella legge nata come costola della riforma del processo penale che porta la firma dell’allora Guardasigilli Orlando, aveva due obiettivi dichiarati: maggiori garanzie per il difensore in modo da impedire la prassi dell’ascolto e della trascrizione delle intercettazioni non casuali che lo riguardano; limiti ragionevoli all’utilizzo del cosiddetto Trojan Horse, che per via giurisprudenziale era divenuto strumento consegnato all’ordinarietà. Il decreto legislativo, esondante rispetto alla delega, aveva previsto l’archivio riservato ove il difensore si sarebbe dovuto recare per l’ascolto delle registrazioni. Niente copie, termine breve: attività impossibili. La ragionata protesta delle Camere Penali e delle Procure aveva determinato il differimento della operatività della normativa al fine di consentire ripensamenti e nuove interlocuzioni con gli operatori.

Poi, il rinvio ha assunto un altro sapore. Con la ‘spazzacorrotti’, la stessa legge nella quale è stata inserita la riforma della prescrizione, si è esteso l’uso del Trojan ai reati contro la pubblica amministrazione. Oggi punti nevralgici della nuova disciplina sono in buona sostanza la reintroduzione della udienza stralcio al fine dell’attività di trascrizione delle conversazioni, un meno pregnante, in quanto residuale, intervento del Giudice nel momento della indicazione delle conversazioni da utilizzare. Il riferimento per l’acquisizione è al concetto di irrilevanza, così evidentemente privilegiando il diritto alla riservatezza dei soggetti non direttamente coinvolti nel procedimento rispetto al diritto di difesa. Una tutela eccessiva del primo che rischia di minare l’effettività del secondo. La nuova disciplina prevede che competa al Pubblico Ministero la determinazione del tempo nel quale la documentazione riguardante le intercettazioni deve rimanere depositata presso l’archivio “riservato”, la cui costituzione risulta confermata. È li che il difensore dovrà recarsi per l’attività di ascolto.

Un’attività impossibile negli stretti limiti temporali che rimangono quelli dell’avviso di cui all’art. 415 bis cpp (venti giorni entro i quali ascoltare tutte le intercettazioni, indicare quelle ritenute rilevanti, chiederne ed ottenerne copia, per poi svolgere e proporre l’attività difensiva sulla quale interloquire con il Pubblico Ministero). Nessun rafforzamento dello statuto del difensore è previsto dalla riforma, le comunicazioni che lo coinvolgono potranno ancora essere ascoltate e virtualmente conosciute dal contradittore processuale, a nulla rilevando, su questo piano, i divieti di trascrizione e utilizzazione. A gennaio sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione che hanno disegnato un argine alla “circolazione probatoria” delle intercettazioni al di fuori del procedimento in cui sono state disposte. In buona sostanza, il Giudice di legittimità ha individuato nella connessione ex art. 12 cpp il parametro di riferimento meritevole di valutazione, non ritenendo sufficiente all’estensione della utilizzazione dello strumento di indagine il mero collegamento investigativo.

Avrebbe dovuto essere questa per il Legislatore l’occasione per una nuova definizione di una sorta di gerarchia nell’uso degli strumenti captativi stabilendone rigidi parametri autorizzativi.
Invece il segno dell’ultima ora è stato un altro: estensione del Trojan Horse anche ai reati propri dell’incaricato di pubblico servizio, nessuna indicazione di regole per l’utilizzabilità in procedimento diverso, anzi, l’ambiguità dell’emendamento con cui si è intervenuti in punto di deroga sull’inutilizzabilità esterna, pare destinata a riaprire scenari regressivi.

Insomma, immaginato quale intervento legislativo per rafforzare lo statuto del difensore, tutelare la riservatezza dei soggetti estranei al tema del processo, limitare l’indiscriminato uso del captatore informatico, il nuovo decreto si rivela uno strumento di impronta eminentemente inquisitoria. Stupisce che il Partito Democratico, già protagonista della proposta di riforma in materia di intercettazioni, abbia, unitamente alle altre forze oggi comprimarie nell’azione di governo, accettato un compromesso così al ribasso. La Corte Costituzionale sarà certamente chiamata ad occuparsi di una legge che consente l’abnorme utilizzo di strumenti di captazione nella vita privata delle persone e definisce un cattivo bilanciamento di diritti fondamentali.