Che la giustizia penale possa essere divisiva è un fatto scontato: si tratta di disciplinare i rapporti tra lo Stato e i cittadini. L’approccio culturale e ideologico nonché il contesto dei fenomeni criminali costituiscono la base sulla quale si articolano le scelte del Governo e del Parlamento.

Questo dato che ha da sempre caratterizzato le scelte delle riforme della giustizia penale si sta da ultimo connotando di un ulteriore elemento innestato dalla instabilità politica e dal mutamento delle maggioranze che sostengono il Governo. Si vive in contesti di riforme e controriforme, di riforme annunciate con leggi delega e mai portate a compimento, di innovazioni legislative asistematiche, di regimi sostanziali e processuali differenziati anche significativamente nel tempo in relazione al diverso momento della loro approvazione di differimento proroghe di efficacia normativa variamente motivate.

L’intervento del decreto legge in tema di intercettazioni ne è l’esempio più evidente anche se non può essere trascurato il tema della prescrizione che appena entrata in vigore stante i ritenuti effetti differiti nel tempo, consente da tempo di dibattere sulle sue modiche e aggiustamenti. In questi modi si pensa di dare spazio e voce alle divaricate posizioni delle varie posizioni politiche, si cercano sponde e consensi elettorali, probabilmente effimeri anche per la palese loro strumentalità. Rinviata per la quarta volta, la riforma delle intercettazioni di cui al decreto legge di fine anno, peraltro in parte già introdotta con vari provvedimenti tra i quali la legge cosiddetta spazzacorrrotti e la giurisprudenza delle sezioni unite, può essere letta sotto due profili: uno più strettamente giuridico e uno più significativamente politico.

Sotto il primo profilo la riforma è sicuramente frutto dell’azione di alcune procure ovvero di alcuni procuratori che con successivi documenti, nei passaggi significativi dell’elaborazione del testo, non hanno mancato di far sentire il peso delle loro posizioni. Difficoltà organizzative dapprima; riserve di merito poi. Invero la nuova formulazione restituisce pienamente al pubblico ministero la gestione e il controllo dell’attività e degli esiti delle intercettazioni.

Gli aspetti innovativi attuativi della legge delega vengono superati conferendo al procuratore ogni determinazione dei risultati dell’attività di captazione sia in relazione al materiale da ritenere rilevante sia in relazione ai tempi della sua conoscibilità. La difesa dovrà sempre in via prioritaria rivolgersi al pubblico ministero per verificare il possibile utilizzo dei materiali favorevoli alla linea difensiva.  Il ruolo del giudice che poteva assurgere a giudice delle intercettazioni così da costituire una prima svolta di rafforzamento del suo compito nella fase delle indagini preliminari torna alla sua dimensione di prossimità all’accusatore. Venendo incontro alle riserve delle procure, si afferma la piena utilizzazione come prova di eventuali reati acquisiti con il captatore per i reati di criminalità organizzata e di criminalità economica. Quanto a quest’ultimo aspetto, si parifica la posizione degli incaricati di pubblico servizio a quella dei pubblici ufficiali.

In termini positivi va valutata la anticipazione della possibilità della trascrizione con le perizie al termine delle indagini preliminari. Sotto il profilo politico non può non lasciare perplessi la posizione di chi non è riuscito a portare a compimento la propria riforma penitenziaria, a difendere la riforma della prescrizione e a vedere controriformata quella sulle intercettazioni.