La risoluzione
Mes, c’è la fumata bianca: Pd e M5s si stringono a Conte

Tanto tuonò che alla fine non piovve. A meno di inaspettati cataclismi, la risoluzione sul Mes che oggi seguirà nei due rami del Parlamento le comunicazioni del premier Giuseppe Conte sul Consiglio Ue, si svolgerà al riparo della forzata unità di intenti ritrovata da Pd e M5s grazie al fantomatico ombrello del cronoprogramma. A cacciare via i nuvoloni che avevano fatto sfregare le mani ai sovranisti, è stato Luigi Di Maio, a conclusione di un incontro con la truppa stellata di palazzo Madama. «Li ho trovati molto compatti, stiamo lavorando al meglio, quindi avanti così», ha assicurato il capo politico grillino . Che ha già individuato il modo di gettare il cuore oltre l’ostacolo, ma pure la palla in tribuna. «A gennaio, come abbiamo letto dalla lettera di Centeno, si faranno alcuni approfondimenti su alcune criticità del Mes», ha spiegato il ministro degli Esteri. «Ovviamente – ha aggiunto – noi vogliamo creare nella risoluzione tutte le tutele per cui il Parlamento nelle prossime settimane debba essere ulteriormente consultato in modo tale da dare una linea chiara al prossimo Eurogruppo e al prossimo Eurosummit».
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E tanto basta, almeno per ora, per chiudere il caso. La morale della favola, piuttosto malmostosa, la fa il senatore filo-sovranista del M5s, Paragone. «Ci vogliono convincere – tuona – che alla fine approveremo solo un po’ di Mes. Ridicoli». Segno che colà dove si puote, si è già deciso: filerà tutto liscio anche a palazzo Madama. Del resto il lavoro sulla risoluzione unitaria giallorossa si è svolto ieri senza particolari scossoni. Nel testo sarebbe confermata la logica della riforma, ma da adottare in maniera “progressiva” e comunque con il coinvolgimento del Parlamento, piuttosto incollerito dall’iter della manovra, che in pratica dovrebbe saltare a piè pari dalla Camera, direttamente al Senato per essere approvata. Le ultime sulla finanziaria dicono a tal proposito che l’esame in commissione va avanti a singhiozzo: salta la cedolare secca sugli affitti dei negozi, previsto un premio del 10% oltre al rimborso per le vittime delle “bollette pazze”, sale al 40% la quota rosa nelle società quotate, 12 milioni in più in 3 anni contro la violenza sulle donne. Queste le ultime portate del menù sempre cangiante.
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Forse incoraggiato dai venti benevoli che tornano a soffiare su palazzo Chigi, il premier Conte prova a rilanciare l’azione di governo oltre le forche caudine della manovra. L’idea dell’esecutivo è quella di «riportare l’Italia sulla strada del rilancio degli investimenti: è un tema a cui attribuiamo la massima priorità e urgenza», dice in apertura del tavolo con i sindacati sugli investimenti pubblici e il Meridione a Palazzo Chigi. E parla di un «primo step di un progetto comune per il lavoro, lo sviluppo e l’innovazione nel nostro Paese», di rimando alla proposta di un patto sociale lanciata da Maurizio Landini. L’idea è insomma quella classica: costituire una cabina di regia sul lavoro a palazzo Chigi. «La prima cosa da fare è abolire il Jobs Act», è l’opa che lancia Landini. Ma a naso, stante la difficile convivenza a quattro in quel di palazzo Chigi, la notizia che la riforma simbolo di Renzi finirà davvero con l’essere abolita, appare fortemente esagerata. Il governo prova a fatica a tirare fuori la testa dalla palude. E ce n’è abbastanza, per ora, perché la riforma della prescrizione e quella delle intercettazioni torni a inabissarsi. Dopo tanti tintinni, le sciabole sembrano per ora tornate nel fodero. Che ne sarà della riforma Orlando non lo sa davvero nessuno. Per ora il Mes, da domani si vedrà.
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