Durerà almeno fino alla fine dell’anno il processo disciplinare a carico dei “congiurati” dell’hotel Champagne, i magistrati (Luca Palamara, Cosimo Ferri, Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre, Luigi Spina, Gianluigi Morlini) che secondo l’accusa avrebbero gettato con il proprio comportamento discredito sulla magistratura, cercando di condizionare le nomine dei capi di alcune Procure, ad iniziare da quelle di Roma e Perugia. Un bel segnale che dovrebbe così archiviare il rischio di un “turbo processo” bis, dopo quello del mese scorso davanti al Comitato direttivo dell’Anm quando, nello spazio di una mattina, si decise di cacciare Palamara dall’associazione senza neppure ascoltarlo. Al Csm ci sarà, sulla carta, il tempo per ascoltare i testimoni chiamati dalla difesa. Sicuramente, però, non tutti i 133 citati da Palamara. Il calendario delle prossime udienze è stato comunicato ieri da Emanuele Basile, il laico salviniano che sostituiva il collega pentastellato Fulvio Gigliotti, come presidente del collegio.

Visto il legittimo impedimento del consigliere di Cassazione Stefano Guizzi, difensore di Palamara il procedimento è stato aggiornato al 15 settembre. In quella data si discuterà, oltre che dei testi da ammettere, delle istanze di ricusazione. Evitato, infatti, il rischio del processo sommario, sul dibattimento incombe la decisione di Cosimo Ferri di ricusare tutto il Csm e di chiedere la sospensione del processo fino alla scadenza naturale di questo Csm. La situazione che si è creata è, per l’ex numero uno di Magistratura indipendente e ora deputato di Iv, in contrasto con il principio del giusto processo davanti ad un giudice terzo ed imparziale. A Palazzo dei Marescialli è in atto un cortocircuito istituzionale. I consiglieri del Csm, secondo l’accusa della Procura generale della Cassazione, sono individuati come «soggetti attivi/parti offese dalle condotte» tenute dai sette magistrati che parteciparono all’incontro, registrato dal trojan nel telefono di Palamara, la sera del 9 maggio 2019 all’hotel Champagne di Roma. Le “incolpazioni” si basano esclusivamente sulle intercettazioni. Sono queste “le uniche fonti di prova” e, come scrive Ferri, «non sono in alcun modo casuali» e quindi inutilizzabili.

Come riportato sul Riformista è emerso che i finanzieri del Gico avevano il modo di sapere che non si trattava di incontri a sorpresa. E il pm Gemma Milani, che indagava su Palamara, aveva dato disposizione di spegnere l’apparecchio, se il magistrato stava per incontrare dei parlamentari. Operazione che, invece, era stata disattesa dai finanzieri. E poi ci sarebbero «indebite anticipazioni del giudizio», insomma la classica condanna annunciata. Ferri cita sul punto le parole pronunciate dal vice presidente del Csm David Ermini all’inaugurazione dell’ultimo anno giudiziario in Cassazione per raccontare l’accaduto. Un «agire prepotente, arrogante ed occulto tendente ad orientare inchiesta, influenzare le decisioni del Csm, e screditare magistrati». Chi poi avrebbe messo il carico da undici, per Ferri, sarebbe stato il togato del gruppo di sinistra Area Giuseppe Cascini. «L’unica vicenda che mi pare assimilabile a quella che stiamo vivendo in questi giorni è quella dello scandalo P2», disse in Plenum.

«Il coinvolgimento di molti magistrati nella loggia massonica segreta assestò un durissimo colpo alla credibilità e all’immagine della magistratura», aggiunse l’ex procuratore aggiunto di Roma, sottolineando che all’epoca «i magistrati furono immediatamenti destituiti. Oggi si chiede a noi analogo sforzo di orgoglio e coraggio, abbiamo il dovere di reagire con fermezza». Parole che annichilirono il Plenum, ad iniziare dai togati di Magistratura indipendente. «Nessuno prese posizione, nessuna dissociazione dalla gravità della affermazione», riporta Ferri. Tutti i consiglieri vengono allora chiamati come testimoni sulla persona di Ferri. Questa la lista di domande: «A quando risale l’ultimo incontro? Se hanno parlato di nomine? Se erano a conoscenza specifico interessamento del sottoscritto alle nomine?». A Cascini vuole chiedere «se ha avuto (con lui) rapporti “conflittuali” in ambito associativo».

«Il giudice che conosce della ricusazione non può mai essere quello che, in caso di accoglimento della istanza, sarebbe chiamato a decidere della causa», evidenzia Ferri, chiedendo allora di sollevare la questione di legittimità costituzionale sulla sospensione del procedimento al Csm, al momento non prevista. Non è escluso un intervento del presidente della Repubblica che del Csm è il capo.