Chi ha impedito l’accesso nella sala del Plenum, minacciando “il regolare svolgimento dei lavori”, all’ex consigliere del Csm Paolo Criscuoli? È quanto chiedono cinque magistrati alla Procura di Roma, competente per i fatti accaduti a Palazzo dei Marescialli. Per capire cosa sia accaduto è però necessario tornare all’estate scorsa. Il Palamaragate è appena esploso. Alcuni giornali, Corriere, Repubblica e Messaggero, riempiono le pagine con stralci delle conversazioni, avvenute la sera del 9 maggio, fra alcuni consiglieri togati del Csm, i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti, e l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara.

Le conversazioni sono registrate tramite il trojan inoculato nel cellulare di Palamara, indagato a Perugia per corruzione. I magistrati e i due parlamentari discutono di nomine, in particolare di quella del nuovo procuratore di Roma. La pubblicazione di queste conversazioni – all’epoca le indagini erano ancora in corso – provoca un terremoto nella magistratura. Quattro dei cinque togati si dimettono quasi subito dal Csm. Paolo Criscuoli, uno di questi cinque, decide invece di non dimettersi optando per un’autosospensione in attesa di chiarire l’accaduto.
Nelle conversazioni riportate dai giornali, infatti, il suo nome non compare. È lui che si “autodenuncia”. Passata l’estate, i lavori al Csm riprendono. E qui accade l’incredibile.

Alcuni consiglieri togati impediscono al giudice siciliano di entrare nel Plenum. L’episodio, gravissimo e senza precedenti, è raccontato dallo stesso Criscuoli in una mail datata 18 settembre 2019. «Quando ho comunicato la mia intenzione di riprendere l’attività consiliare, ho dovuto constatare che alcuni consiglieri togati avevano rappresentato all’ufficio di presidenza l’intenzione di abbandonare i lavori del Plenum ovvero di non parteciparvi facendo mancare il numero legale qualora l’avessi fatto», scrive Criscuoli. «In modo del tutto arbitrario perché al di fuori di qualsiasi perimetro normativo – prosegue – con le predette condotte, certamente non connotate da correttezza istituzionale, si è ritenuto di poter interferire sull’esercizio della funzione e sull’attività del Consiglio». Un’accusa gravissima che apre scenari inquietanti sulla regolarità dei lavori dell’Organo di autogoverno della magistratura.

Il magistrato, contattato, non ha voluto rilasciare commenti al riguardo, e neppure indicare i nomi dei “togati” che gli hanno impedito di entrare in Plenum. Il testo di questa mail è confluito nell’esposto che Andrea Mirenda, magistrato di sorveglianza a Verona, Carmen Giuffrida, esperto nazionale distaccato presso il Consiglio dell’Unione europea, Giuliano Castiglia, giudice al Tribunale di Palermo, Andrea Reale, giudice al Tribunale di Ragusa, Ida Moretti, giudice al Tribunale di Benevento, hanno presentato al procuratore della Repubblica della Capitale lo scorso primo ottobre e di cui al momento si sono perse le tracce.

«Noi sottoscritti magistrati in servizio presso vari uffici giudiziari del Paese – si legge nell’esposto presentato alla Sezione di pg del Tribunale di Verona – trasmettiamo due mail pervenute sulla mailing list dell’Associazione nazionale magistrati ma chiaramente destinate alla pubblica diffusione». La seconda mail allegata proviene dall’ufficio stampa di Magistratura indipendente, la corrente di Criscuoli. Nel testo viene prima apprezzata la scelta di Criscuoli, nel frattempo dimessosi, di mettere al «riparo l’Istituzione da condotte che avrebbero creato una situazione di muro contro muro», e poi confermano il fatto storico: «I consiglieri con una condotta arbitraria perché del tutto al di fuori del perimetro normativo si sono attributi un potere che non hanno». La vicenda, passata “sotto traccia” in questi mesi, meriterebbe di essere approfondita. Anche alla luce del fatto che il presidente del Csm è il capo dello Stato. E dal Quirinale non dovrebbero essere tollerate condotte «al di fuori di qualsiasi perimetro normativo».