E nulla: l’unica speranza di riformare effettivamente la giustizia ed il Consiglio superiore della magistratura è affidata ai referendum promossi dai radicali. I banchetti per le firme partiranno all’inizio del prossimo mese.
La bozza di riforma che verrà proposta questa mattina dalla Guardasigilli Marta Cartabia ai capigruppo in Commissione giustizia alla Camera, infatti, sarà poco più di un panno caldo per un malato in stato ormai comatoso.
Oggi, in particolare, verranno illustrati dalla ministra i lavori della Commissione per la riforma del Csm presieduta dall’avvocato romano Massimo Luciani, già difensore, oltre che dell’Associazione nazionale magistrati, di Piercamillo Davigo e di Michele Prestipino davanti al Consiglio di Stato. Chi si aspettava dopo il Palamaragate modifiche “epocali” rimarrà sicuramente deluso.

È stato stroncato il sorteggio temperato per la elezione della componente togata del Csm che avrebbe limato una volta per tutte le unghie all’ingerenza delle correnti dell’Anm. Sorteggio che era stato caldeggiato anche da diversi gruppi di magistrati. Il sistema sarebbe stato compatibile con l’attuale assetto costituzionale, prevedendo una selezione, mediante sorteggio, dei candidati all’elezione che avessero conseguito una positiva verifica di professionalità con una certa anzianità di servizio. Quello che si propone, invece, è un complicatissimo meccanismo elettorale, il “voto trasferibile”, utilizzato in Nuova Zelanda, in Irlanda del Nord e in Scozia. Di fatto un proporzionale che permette all’elettore di assegnare più di una preferenza “numerando” i candidati sulla scheda elettorale. Un meccanismo che rafforzerà ancora di più le correnti.

Naufragato anche lo stop alle “porte girevoli” tra magistratura e politica, imponendo l’impossibilità, sia pur diversamente graduata, per il magistrato che abbia svolto attività politica o amministrativa di tornare ad esercitare funzioni giurisdizionali. E, in attesa dei referendum, pochi paletti per una “separazione” delle carriere tra pm e giudici. Fra le proposte, bocciate, c’era quella di consentire il passaggio da una funzione all’altra una sola volta e solo entro i primi anni di servizio. Nessun ruolo effettivo, poi, agli avvocati nei consigli giudiziari (i piccoli Csm nei distretti) accordando loro dei poteri per le valutazioni di professionalità delle toghe. Su questo aspetto l’Anm era pronta alle barricate. Continueranno senza sosta, infine, gli incarichi “fuori ruolo” dei magistrati che si voleva limitare allo stretto indispensabile. Ma anche per le valutazioni di professionalità nulla da fare. Si voleva proporre un giudizio “a voti”, per meglio valorizzare le qualità delle toghe in relazione all’esito dei processi trattati nelle successive fasi e gradi del giudizio.

Era stato comunque nei giorni scorsi il sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto (FI) a smorzare gli entusiasmi di coloro che pregustavano un cambiamento effettivo dopo tutto quello che sta succedendo nella magistratura italiana. Sisto aveva affermato di non attendersi “rivoluzioni copernicane” e che ci sarebbero stati solo “interventi mirati” . La riforma del Csm, va ricordato, è una legge delega: serviranno poi i decreti attuativi da approvarsi entro la prossima estate, in tempo per le elezioni per il rinnovo del Csm. Quindi c’è anche il concreto rischio che non cambi nulla e che il sistema Palamara prosegua come prima. Senza Palamara.

In serata il commento del forzista Pierantonio Zanettin: «Forza Italia propone un ordinamento giudiziario più chiaro, più trasparente, capace di restituire, almeno nelle regole, maggiore meritocrazia per l’accesso ai ruoli direttivi e maggiore indipendenza del magistrato rispetto all’invasività delle correnti». «Con la trasparenza e le regole certe diventerà possibile realizzare non solo quanto ci viene chiesto dall’Europa, ma soprattutto un sensibile miglioramento dell’offerta di giustizia nel nostro Paese», ha concluso il capogruppo azzurro in Commissione giustizia.