Cresce nella consapevolezza della pubblica opinione e dello stesso ceto politico l’idea che nessuna seria riforma dell’ordinamento giudiziario potrà prescindere dalla necessità di garantire, ai cittadini ed alla giurisdizione, la effettiva terzietà del Giudice. Lo vuole la Costituzione, lo vuole la logica del giusto processo, lo vuole il buon senso. Un giudice terzo, equidistante dalle parti processuali –Accusa e Difesa– poste in condizioni di parità.

La c.d. “vicenda Palamara” ha reso chiara alla pubblica opinione soprattutto una cosa, e cioè che gli Uffici di Procura, nel nostro Paese, hanno assunto una dimensione politica del tutto impropria, letteralmente devastante per l’indispensabile equilibrio tra i poteri dello Stato. Non “la Magistratura”, come genericamente si tende a dire, bensì, per l’esattezza, gli Uffici di Procura. Che diventano perciò terreno di contaminazione e di scontro con il potere politico, giacché i primi -gli uffici di Procura- hanno da tempo definitivamente assunto la forza di determinare le sorti di quest’ultimo, a livello sia locale che nazionale. Quando un potere esonda dal proprio alveo costituzionale, occorre chiedersi responsabilmente quale sia il meccanismo regolatore che è saltato, che è venuto meno, così consentendo quella esondazione. E qui non ci sono dubbi sulla risposta: è il Giudice ad essere venuto meno. Cioè, per essere più precisi, il controllo giurisdizionale sui poteri di indagine e sull’esercizio dell’azione penale.

Forse continua a sfuggire ai più che intercettazioni telefoniche, misure cautelari, sequestri, misure di prevenzione patrimoniali, rinvii a giudizio – cioè i provvedimenti che più impattano sul cittadino indagato- possono essere solo richiesti dai Pubblici Ministeri. Chi li dispone (o li convalida) è un Giudice, il cui compito è proprio quello di vagliare la fondatezza e la legittimità di quelle richieste. Così come si continua ad ignorare – per dirne un’altra- che la durata delle indagini, altro tema caldissimo, è (sarebbe) rimessa al Giudice, che ne autorizza la proroga solo quando motivatamente richiesta dal Pubblico Ministero. E potremmo continuare. Funziona nella realtà questo controllo? Niente affatto. Il GIP che nega al PM l’autorizzazione alla installazione di un trojan o la custodia cautelare dell’indagato è l’eccezione. Non a caso da anni chiediamo un dato statistico che invece nessuno vuole rendere pubblico: la percentuale di accoglimento da parte dei GIP delle richieste (cautelari, intercettative) dei P.M. E sapete quale è la percentuale di accoglimento delle richieste di proroga delle indagini avanzate dai P.M.? Pressoché il cento per cento. E di rinvii a giudizio da parte dei GUP? 97%.

Dunque, è la terzietà del Giudice, soprattutto del Giudice designato al controllo giurisdizionale delle indagini e dell’esercizio dell’azione penale, il cuore del problema. E c’è un solo modo per assicurare questa terzietà: separando le carriere di Giudici e PP.MM., separando i CSM, separandone reclutamento, formazione e se possibile gli stessi organismi di rappresentanza associativa. L’idea che la terzietà del giudice possa essere garantita dalla famosa “cultura della giurisdizione” ha dato i risultati che sono sotto gli occhi di tutti: un Paese, le sue istituzioni politiche e la sua economia, totalmente nelle mani degli Uffici di Procura. Ora, vediamo moltiplicarsi iniziative politiche e parlamentari di vario segno che invocano a chiare lettere la necessità di questa riforma, chi proponendo interessanti emendamenti perfino alla riforma del concorso in magistratura, chi preannunciando referendum abrogativi. Di questi ultimi nulla sappiamo, valuteremo leggendone il testo; ma siamo da tempo consapevoli che la strada della legge ordinaria, per di più attraverso lo strumento non agevole della abrogazione parziale di leggi vigenti, nasce inesorabilmente come un’anatra zoppa.

È invece in Parlamento da tempo -ora di nuovo in Commissione affari costituzionali, addirittura dopo uno storico approdo in Aula- la proposta di legge di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere presentata dall’Unione Camere Penali insieme a 75mila cittadini italiani. È una proposta di legge di riforma costituzionale, perché è bene si sappia che è quella la strada maestra per realizzare davvero, in modo compiuto e strutturato, questa ormai indispensabile riforma. Tutto il resto potrà approdare, nella migliore delle ipotesi, ad una separazione delle funzioni, già dimostratasi un inadeguato pannicello caldo. Quella proposta di legge prevede due concorsi, e soprattutto due Consigli Superiori, nonché la modifica del principio di obbligatorietà dell’azione penale con affidamento al Parlamento delle scelte di priorità del suo esercizio. È quella la strada maestra, già segnata da un significativo consenso popolare e già arricchita di un lungo approfondimento parlamentare. Senza nulla togliere alla bontà di ogni altra iniziativa, sarebbe il caso di chiedersi se non valga la pena innanzitutto puntare su una forte ripresa del dibattito parlamentare intorno a quella proposta di legge. 75mila cittadini italiani, insieme ai penalisti italiani, attendono una risposta.

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