«Guardate faccio il procuratore generale presso una delle Corti d’appello, come ha scritto il Consiglio di Stato, più importanti del Paese, mi trovo bene, e non accetto che il mio nome venga associato a baratti di alcun tipo». Chi ieri chiedeva al pg di Firenze Marcello Viola per quale motivo avesse ritirato la domanda per la Procura generale di Palermo si è sentito rispondere in questo modo. I collaboratori di Viola descrivono in queste ore il magistrato sereno e, soprattutto, determinato.

Nell’ultimo giorno disponibile Viola ha revocato la domanda al Consiglio superiore della magistratura per procuratore generale di Palermo, il posto che gli sarebbe stato offerto come “contropartita” se avesse rinunciato alle sue aspirazioni sulla Procura di Roma. «Il procuratore non ha intenzione di prestarsi a nessuno scambio. Il Csm non è, o non dovrebbe essere, il suk di Tunisi», aggiungono i collaboratori di Viola. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, spingendo il pg di Firenze a ritirare la domanda, sarebbe stata una intervista questa settimana di Paolo Mieli alla trasmissione OttoeMezzo condotta da Lilli Gruber su La7. Mieli dava per scontato che tutto si sarebbe risolto: Michele Prestipino, nonostante il Tar ed il Consiglio di Stato abbiano affermato che la sua nomina è illegittima rimarrebbe al suo posto e Viola sostituirebbe fra qualche mese Roberto Scarpinato alla Procura generale di Palermo. Tutti felici e contenti.

Il procuratore di Firenze, però, ha sempre respinto questa narrazione alla “volemose bbene”, notificando la sentenza del CdS che gli dava ragione, dando un termine al Csm per provvedere. Da Palazzo dei Marescialli, invece, tutto tace, pur a fronte di un provvedimento del giudice amministrativo che, senza molti giri di parole, affermava che Prestipino non ha alcun titolo per fare il procuratore di Roma. In aiuto all’inerzia del Csm sono arrivati due nuovi ricorsi di Prestipino. Nei ricorsi, depositati questa settimana, l’attuale procuratore di Roma afferma che la sentenza che dà ragione a Viola «è viziata da errore revocatorio e deve essere annullata e riformata». Prestipino ha chiesto poi «in via cautelare» di sospenderne «l’esecutività». Un rimedio previsto dalla procedura ma considerato straordinario, il ricorso all’intero Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. Non si segnalano precedenti. Prestipino ha anche preparato un separato ricorso in Cassazione, «lamentando il vizio di eccesso di potere giurisdizionale» del CdS «per invasione della sfera di discrezionalità riservata al Csm su una pluralità di profili».

In altre parole il CdS non potrebbe mettere bocca nei provvedimenti del Csm. Ad assistere Prestipino è sempre l’avvocato Massimo Luciani, difensore anche di Piercamillo Davigo. Un periodo di super lavoro per Luciani, ex candidato del Pd per un posto di componente laico a Palazzo dei Marescialli. Oltre a difendere in tutte le sedi i magistrati di ogni ordine e grado, l’avvocato romano sta lavorando alla riforma dell’organo di autogoverno delle toghe voluta dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia. Colpi di scena a raffica, infine, nei processi a Perugia nei confronti di Luca Palamara. In quello per la rivelazione del segreto d’ufficio, in concorso con Stefano Rocco Fava, il gup ieri ha escluso l’utilizzabilità delle intercettazioni effettuate con il trojan. Dopo una recente sentenza della Corte europea non potranno essere utilizzate nei loro confronti le intercettazioni e le chat acquisite con il captatore informatico, trattandosi di atti riferiti ad un altro procedimento penale.

Dopo la costituzione di parte civile del procuratore aggiunto Paolo Ielo, oggetto dell’asserita campagna denigratoria da parte di Palamara e Fava, ieri è stato il turno di Piero Amara: 500mila euro la cifra richiesta per risarcire «l’ingente danno morale che ha causato sofferenza interiore» provocato dal comportamento dei due magistrati. Il gip ha respinto. Nel processo principale, quello per corruzione, invece, si inizia a configurare il reato di “cena”. A distanza di oltre due anni dai fatti l’imprenditore Fabrizio Centofanti, il corruttore di Palamara, «ha accolto l’invito del procuratore Raffaele Cantone» e si è presentato la scorsa settimana a Perugia per rendere spontanee dichiarazioni.

Centofanti avrebbe pagato delle cene all’ex zar delle nomine, cene definite di “politica giudiziaria”. Centofanti, poi, ha raccontato un episodio “curioso”, quello di aver saputo in anteprima da Amara che sarebbe stato arrestato. Amara gli fece vedere le informative della guardia di finanza che aveva ottenuto in esclusiva pagando 30mila euro ad un agente dei servizi segreti. Dopo aver letto l’informativa, andò ad avvisare Palamara che l’indomani mattina l’ora della prigione era giunta. Cosa che poi effettivamente avvenne.