Nicola Rossi, economista presidente Istituto Bruno Leoni

Il perimetro della Nadef è ristretto, il governo Meloni deve fare i conti con la realtà. Che manovra ci aspetta?
Mi aspettavo e mi aspetto scelte di politica di bilancio ispirate alla prudenza. Consapevoli del fatto che l’Italia – anche alla luce della anche troppo rinviata inversione di rotta della politica monetaria – viaggia su un crinale molto stretto segnato da un debito pubblico abnorme e da una crescita di medio lungo periodo ancora anemica. E credo di poter dire che questa consapevolezza sia ben presente all’interno del governo e rappresentata, per quanto ne sappiamo, senza particolari infingimenti dai numeri della Nadef. Certo, i margini di manovra del governo in carica sono stati considerevolmente limitati dalle scelte irresponsabili di alcuni governi della passata legislatura e dai tempi, come dicevo fin troppo ritardati, della nuova direzione della politica monetaria. Ma, come è noto, non ci è dato scegliere il tempo in cui viviamo e, da questo punto di vista, il realismo del governo è tanto più apprezzabile in quanto alcuni governi precedenti hanno pensato di poterne fare a meno. Naturalmente addossandone i costi a tutti i contribuenti.

La spesa pubblica non è mai aumentata in questi tanto come in questi anni, tra bonus e superbonus. Il populismo ha un prezzo troppo alto, in fin dei conti, per gli stessi partiti populisti?
Il populismo dei primi tre anni della passata legislatura si è espresso per il tramite di classi politiche segnate dalla incompetenza se non proprio dalla ignoranza. E i danni di quella stagione non andranno via facilmente. Ciò nonostante da quella stagione è possibile trarre – ed è auspicabile che tutti lo facciano – una lezione importante. La spesa pubblica in disavanzo non è un fattore di crescita. Può essere – sotto condizioni molto stringenti – uno strumento per il controllo (o meglio per la speranza del controllo) del ciclo. Ma nulla di più. Come dimostrano chiaramente questi ultimi anni, la spesa pubblica in disavanzo finisce sempre per tradursi in un fuoco di paglia il cui unico effetto di lungo periodo è lo squilibrio nei conti pubblici. Ma non mi farei troppe illusioni. Il populismo italiano è un fenomeno che ha radici molto profonde e non è affatto detto che tragga insegnamento da quanto accade. Sbaglia, in questo senso, chi pensa di poterlo addomesticare senza esserne contagiato.

L’inflazione incide davvero tanto sulla manovra? Eppure i maggiori incassi Iva vanno a compensare le casse dello Stato…
L’inflazione cova a lungo prima di prendere forma compiuta e diventare un fenomeno persistente nel tempo. Nel nostro caso fenomeni di offerta possono essere stati il fattore scatenante ma essi non avrebbero generato quel che osserviamo da mesi se le politiche monetarie eccessivamente protratte nel tempo nello scorso decennio non avessero creato un terreno fertile perché l’inflazione si radicasse, pervadesse tutti i comparti dell’economia e inducesse ad una repentina e significativa inversione di rotta della politica monetaria. Lo Stato – che non dimentichiamolo mai è il debitore per eccellenza – ne ha tratto grandi vantaggi in una prima fase in cui il tassi di interesse reali erano significativamente negativi. Ma quella fase è finita e in prospettiva torneremo ad avere un prezzo per il rischio coerente con le tendenze di fondo dell’economia e quindi, sia pur moderatamente, positivo. E per lo Stato questo implicherà – e già oggi implica – un significativo incremento degli oneri per il servizio del debito. Ma siamo chiari: stiamo semplicemente tornando a remunerare i risparmiatori (e non già a tassarli, come abbiamo fatto a lungo). Stando così le cose – e che dovessero stare così era facilmente prevedibile, forse non nel “quando”, ma certamente nel “se” – la nostra quotidiana preoccupazione dovrebbe essere quella di colmare il divario fra il nostro tasso di crescita di lungo periodo e quello dell’intera area dell’euro. Un divario che ci portiamo appresso da trent’anni circa.

L’Italia ha smesso di crescere e lo spread torna a farsi vedere. Le ricette di questo governo come le sembrano?
I segnali dei mercati vanno sempre presi sul serio ma con la dovuta freddezza. Il misurato nervosismo dei mercati di queste ore segnala chiaramente il fatto che i mercati si interrogano sulle prospettive di crescita di medio periodo del paese e di conseguenza sulla sostenibilità del debito. E’ un segnale da non trascurare ma al quale si risponde dando ai mercati certezze sulla evoluzione futura dell’economia italiana e della finanza pubblica. Allo stato attuale il testo della Nadef non è ancora noto. Al di là dei vincoli derivanti dalle pregresse scelte di politica economica e al di là della generale ed apprezzabile prudenza che ha caratterizzato e caratterizza la politica di bilancio del governo, è importante che la Nadef collochi questa prudenza in un quadro di politica economica leggibile sia nell’immediato che nel medio periodo.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.