Lo stop a Salvini e alle sue pretese di ponticondoni. La scelta di non metterci la faccia e di mandare avanti quella di Giorgetti sul dossier che certifica mesi di previsioni sbagliate (“cresciamo, cresciamo, siamo i più bravi, la melanomics è un successo”) e mette a nudo la propaganda. La sfida a Bruxelles, al rigore e alle sue regole alzando l’asticella del deficit fino a 4,3%, ben sei decimali oltre il previsto che tradotto significa tra i 12 e i 14 miliardi. Senza i quali non si fa la legge di bilancio. Sono i tre punti chiave che emergono dal primo appuntamento ufficiale del governo Meloni con la sessione di bilancio, ovvero la presentazione della Nota di aggiornamento del Documento economico finanziario (Nadef). In attesa di poter leggere testi e relazioni tecniche ci dobbiamo accontentare delle parole trapelate dal Consiglio dei ministri, dei numeri messi sul tavolo dal Mef e delle facce viste e raccontate. Compresa qualche battuta fuori sacco.

Quella di Giorgia Meloni, ad esempio, quando durante il Cdm, approvato il nuovo decreto immigrati e aperta la parte bilancio, ha parlato “col cuore in mano” alla squadra dei ministri dicendo che “ognuno di noi vorrebbe mettere in atto tutto quello che ha in mente di fare per l’Italia ma governare vuol dire fare delle scelte e darsi priorità. Il nostro obiettivo non può essere il consenso ma raggiungere risultati concreti, facendo ciò che è utile e giusto”. Si dice che in quel momento nella sala del governo non si sia mosso un refolo d’aria. Che tutti gli occhi fossero puntati su Salvini, seduto accanto a Meloni, che però non ricambiava gli sguardi. Anzi. Salvini che ogni giorno alza il prezzo su qualcosa, immigrazione e Ponte sullo Stretto i suoi preferiti. Perché fanno più audience. Anche l’altra battuta è buona, sempre di Meloni, quando allargando le mani e con quel mezzo sorriso che tira fuori per mascherare la rabbia, ha sibilato: “Ma vi rendete conto che le vostre richieste ammontano a circa 80 miliardi…”. Della serie: smettete anche solo di immaginare di poter chiedere qualcosa. Tutti zitti e coda tra le gambe.

C’è un’altra frase “fuori sacco”, recapitata senza volere e per caso. “E andiamo a fare questa conferenza stampa fai da te…” ha sussurrato il ministro economico Giancarlo Giorgetti mandato a fare la conferenza stampa alle 20.40 di mercoledì sera. Il ministro leghista non è certo uno che ama riflettori e microfoni, ha il dono della battuta e di sicuro avrebbe preferito che la premier fosse lì insieme a lui e ai ministri Piantedosi e Nordio. In fondo la Nadef è uno di quegli appuntamenti a cui la premier e presidente del partito di maggioranza non dovrebbe mancare. Soprattutto dopo mesi in cui la stessa premier ha decantato le magnifiche performance economiche della sua maggioranza. Solo che aveva sbagliato i conti: da luglio in poi del “miracolo italiano” – così era stato ribattezzato – è rimasto poco o nulla.
È toccato così a Giorgetti spiegare perché la propaganda è finita e come la narrazione dei primi mesi sia stata troppo ottimistica. Il ministro ha spiegato i numeri di una sfida all’Europa. “Abbiamo fatto le cose giuste, con responsabilità, serietà e buon senso” ha premesso. Nel corso del 2023 il Pil viene stimato al +0,8% (+1% nel Def di aprile), 1,2% nel 2024, 1,4% e all’1% nel 2025 e nel 2026. Il deficit è del 5,3% nel 2023 e del 4,3 nel 2024, 0,6% in più rispetto a quanto indicato nel Def in aprile (3.7%). Sono 14 miliardi. Quelli che servono per fare una manovra che sarà comunque lacrime e sangue. “Sapremo smentire anche queste previsioni” ha detto la premier durante la riunione del Consiglio.

Giorgetti ha spiegato con il suo solito stile: sintesi e nessun infingimento. “Non rispettiamo il rapporto Deficit/PIl al 3% ma la situazione complessiva non induce a ritenere di fare politiche pro-cicliche che alimentano la recessione e quindi l’asticella (del deficit, ndr) si sposta a un livello di ragionevolezza”. Il famoso “debito buono” di cui Giorgetti ha fatto tesoro nei mesi in cui ha lavorato gomito e gomito con Draghi. E con cui, si dice, ancora adesso mantenga una certa consuetudine.
La Commissione sosterrà un deficit così alto? “Credo che a Bruxelles ci siano persone che fanno politica e quindi comprenderanno la situazione. Diversamente dai banchieri centrali che fanno il loro mestiere, decidono in autonomia facendo altri tipi di considerazione”. Frecciata ad alto tasso polemico contro le politiche della Bce e di Christine Lagarde: aver alzato per dieci volte di fila il costo del danaro danneggia i cittadini – dal mutuo in su – e un paese come l’Italia così fortemente indebitato. Anche il debito non accenna a diminuire. Arrivato a quota 2859 miliardi, da qui al 2026 il rapporto debito-pil si ridurrà di appena due punti (da 141,7% a 139,6%). “Avremmo potuto fare meglio se non avessimo il peso del Superbonus”, ha detto Giorgetti. Ancora più dura Meloni che ha puntato il dito contro “la gestione allegra delle risorse da parte del governo Conte”.
Le risorse sono poche, nonostante il deficit, ma il governo dovrebbe comunque riuscire a portare a casa i desiderata principali sul taglio del cuneo che da solo vale dieci miliardi, pensioni e natalità, riduzione delle aliquote fiscali (4 miliardi). Ci saranno anche le risorse per “un primo e molto parziale rinnovo dei contratti del pubblico scaduti da due anni. “Cominceremo dalla Sanità” ha precisato il ministro.
Per le coperture si guarda alle privatizzazioni, ma senza per ora perimetrare i possibili ricavi. E al riordino delle agevolazioni fiscali. Balla un miliardo. La mitizzata tassa sugli extraprofitti delle banche più che per il gettito reale (forse due miliardi) è stata “una grande operazione di politica industriale che ha reso le nostre banche le più solide al mondo”. Lapidario Giorgetti, quando parla di spending review. L’obiettivo è un taglio di due miliardi. “Se non lo fanno i ministri, ci penserà il Mef”.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.