Spiragli di “tregua” per la guerra commerciale che Donald Trump ha iniziato contro mezzo mondo. La pausa dovrebbe, e sottolineiamo il condizionale, riguardare gli scambi commerciali con l’Unione Europea. Ieri, si sono diffuse alcune indiscrezioni secondo le quali l’Unione sarebbe pronta ad accettare dazi universali del dieci per cento sul proprio import negli Stati Uniti a patto che l’accordo sia definito con criteri chiari e condivisi. L’obiettivo è evitare tariffe più elevate su settori strategici come automobili, farmaceutica e componenti elettronici.
Lo “spiffero” è riportato dal quotidiano economico tedesco Handelsblatt. Washington non ha ancora confermato la volontà di limitare al 10 per cento le tariffe sulle auto europee. In cambio della rinuncia a tariffe più severe, l’Ue sarebbe disponibile a ridurre i suoi controdazi sulle auto importate dagli Usa e a riconoscere alcuni standard tecnici americani.

Condizioni

Bruxelles, secondo quanto riporta l’Handelsblatt, ha chiarito che potrà accettare un’aliquota fissa Usa del 10 per cento soltanto a condizioni precise e trasparenti, e comunque non come misura permanente. “Si tratterebbe di un dazio del 10 per cento, che di fatto rappresenta un aumento mascherato delle imposte per i consumatori americani”, spiega un funzionario europeo al quotidiano tedesco. Nel pacchetto negoziale in fase di elaborazione, l’esecutivo di Ursula von der Leyen starebbe valutando anche il divieto totale sulle importazioni di gas russo, con l’obiettivo di favorire le esportazioni di Gnl statunitense. La proposta all’amministrazione Trump potrebbe includere inoltre la revisione di alcune norme Ue più volte criticate dal tycoon. “L’intenzione è costruire un pacchetto completo” così da permettere al presidente statunitense di presentarlo come “una vittoria politica significativa”, ha spiegato la stessa fonte Ue. Tra le ipotesi sul tavolo, la riduzione di oneri burocratici e regolamentari già prevista, come l’alleggerimento della direttiva sulla due diligence.

G7

“Con il presidente Trump ho ribadito l’impegno a trovare una soluzione sui dazi entro il 9 luglio. Nel caso il risultato non fosse soddisfacente saremo in grado di rispondere: tutti i mezzi sono sul tavolo”. Lo ha detto la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nel corso di una conferenza stampa, ieri sera a Kananaskis, alla vigilia dell’inizio dei lavori del summit dei leader G7, presieduto dal Canada. Von der Leyen ha lanciato un appello per “evitare il protezionismo. Manteniamo il commercio tra di noi equo, prevedibile e aperto. Dobbiamo tutti evitare il protezionismo. Il G7 può mandare un messaggio importante al mondo”. Nelle montagne rocciose canadesi si sta discutendo di molti argomenti e di sicuro uno dei più importanti è la nuova guerra in corso tra Israele e Iran. Proprio questo conflitto potrebbe complicare il piano di Trump rispetto all’imposizione di nuovi dazi ai partner commerciali americani. Da qualche giorno, infatti, il costo del petrolio e del gas è in rapida risalita. Non solo. La “guerra” commerciale lanciata negli Usa ha catapultato l’economia globale nel caos tanto che, secondo molti studi econometrici, la probabilità di una recessione negli Stati Uniti tra la fine del 2025 e l’inizio del 2026 è oramai al 50 per cento. Se a questo scenario si aggiunge il debito pubblico americano nel “mirino” degli speculatori per la sua difficile sostenibilità, è chiaro che l’economia a Stelle e Strisce rischia un tonfo di quelli epocali. L’accordo con Bruxelles rappresenterebbe un’ancora di salvataggio che metterebbe al sicuro le capre, cioè la propaganda interna made in Maga, e i cavoli, cioè aumentare l’export statunitense verso il vecchio continente.

Dopo l’accordo di base con la Cina, un patto con l’Europa consentirebbe di chiudere il conflitto commerciale ufficialmente iniziato lo scorso 2 aprile con il “Liberation Day” proclamato in pompa magna da The Donald ma che nella realtà non ha prodotto risultati positivi per nessuna delle parti in causa. Da un lato gli Stati Uniti che sono sul filo della recessione, hanno un debito pubblico che cresce a vista d’occhio e il rendimento dei Treasury Bond, i Btp americani, in crescita e quindi segno che sono più rischiosi. Dall’altra l’economia di mezzo mondo trascinata dal caos di dichiarazioni, smentite, accordi, patti rotti e poi ristabiliti, tariffe imposte e poi tolte che arranca all’ombra di tre guerre che lambiscono l’Europa come mai nella sua storia. Quindi l’accordo serve a tutti, agli Usa in modo particolare.

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