La questione socialista è tornata. La grave crisi di missione della sinistra, l’eccessiva frammentazione delle forze democratiche, insieme allo sfaldamento profondo dei sistemi politici e delle strutture istituzionali che si è avviato nel nostro paese dopo il ’94, hanno aperto, nel paese e tra i rappresentanti dei movimenti politici, una riflessione che deve riguardare tutta la sinistra.
Sdoganare la parola “socialista”, che sembra essere tornata di attualità dopo la recente sconfitta alle urne – “ex malo bonum”, diciamo noi – non è una questione ascrivibile a un banale esercizio dialettico.
Si tratta invece dell’esigenza, non più rinviabile, di adottare un diverso modo di leggere la società e di interpretare i nuovi bisogni. Un modello che rifugge dalle idee impregnate di cialtronismo populista ma che, al contempo, rifugge dalle politiche neoliberiste e di capitalismo selvaggio che hanno danneggiato il paese, esattamente come la visione pauperista e assistenzialista della sinistra più radicale. Il “modello socialista”, invece, consentirebbe alla sinistra di aprire questa fase guardando con spirito innovatore e di modernizzazione alla società aperta e globalizzata. Che si batte per eliminare le diseguaglianze, la tragedia sociale della povertà assoluta ed esclusione sociale in cui versa parte del Paese e per valorizzare il merito e che non si interroga sulla propria identità ma la rafforza con gli strumenti della politica, superando la crisi di rappresentanza, e quindi della democrazia, con l’esaltazione del ruolo dei partiti.

E’ ora, dunque, il tempo dell’unità di tutti i socialisti che lavori sul ritorno della centralità di questi temi. E’ ora il tempo che tutta la sinistra, a cominciare dal Pd, che sembra avere smarrito la capacità di rappresentare il mondo del lavoro e dei bisogni, punti sulla costruzione di un grande partito socialdemocratico che si ispiri al socialismo europeo. Una strada difficile,  ma da battere. Se non ora, quando?