Ventiquattro ore dopo la conferenza stampa in cui annunciava di voler andare avanti «senza chinare il capo e subire un’onta del genere», Vincenzo Ascione ha rassegnato le dimissioni da sindaco di Torre Annunziata. E così l’inchiesta penale su presunte infiltrazioni camorristiche in Comune, benché alle primissime battute, ha avuto subito un enorme effetto politico. A pochi giorni dalle perquisizioni negli uffici comunali, la giunta infatti ha perso pezzi, un assessore e tre consiglieri si sono dimessi.

E quando sono arrivate anche le dimissioni di Giuseppe Raiola, Ascione ha capito che la sua tenacia da sola non sarebbe bastata. «Nel prendere atto delle dimissioni di alcuni consiglieri comunali – ha affermato Ascione, affidando le sue parole a una nota diramata dal suo ufficio stampa – e in particolare del presidente del Consiglio comunale Giuseppe Raiola, che mi ha seguito in questa avventura resistendo alle tante avversità che si sono presentate lungo il cammino, e seppur consapevole di aver dichiarato di voler proseguire il mio mandato alla guida della città, con grande rammarico rassegno le mie dimissioni dalla carica di sindaco pro tempore del Comune di Torre Annunziata». Una scelta sofferta ma che ritiene dovuta. La prassi prevede ora che Ascione abbia venti giorni per ripensarci prima che le dimissioni diventino definitive. Come a dire che i colpi di scena sono sempre possibili.

Del resto nessuno immaginava un cambio di rotta tanto repentino, soprattutto dopo il discorso che Vincenzo Ascione aveva fatto appena martedì dalla sede del Municipio oplontino dove tutto è cominciato, sia la sua esperienza politica sia l’inchiesta nell’ambito della quale risulta indagato e che è alla base dello sfaldamento della sua giunta. Ascione aveva espresso fiducia nella magistratura e al tempo stesso una forte critica per la gogna sollevata prima ancora di arrivare a una prova a suo carico, a un riscontro alle ipotesi investigative. «Si travolge e si espone una classe politica alla pubblica gogna per contestazioni ipotetiche senza prove né riscontri e rispetto alle quali nessuno può dirsi immune», aveva detto. La gogna ha prevalso. «Il mio – aveva aggiunto Ascione – non è un atto di accusa né un atto di difesa, la mia è una precisazione rispetto al fatto che l’attività di indagine, che è legittima quando c’è un dubbio da verificare, sia stata compiuta travolgendo con la massima impetuosità possibile larga parte della compagine politica della nostra città e che tale operazione, fatta con il massimo clamore possibile, abbia diffuso l’errata convinzione che questa compagine sia espressione del peggiore malaffare».

Tutto è accaduto in pochi giorni. A partire dal 10 febbraio: l’Antimafia dispone una serie di perquisizioni in casa e negli uffici di alcuni degli indagati. Il blitz interrompe il Consiglio comunale. La voce corre veloce e la vicenda assume presto i toni dello scandalo del momento. Gli inquirenti hanno bisogno di acquisire una serie di atti. Nel mirino dei pm ci sono scelte degli amministratori locali e i rapporti di alcuni di essi con una persona impegnata in politica ma nipote di un vecchio fedelissimo del clan Gionta e che per questo, a detta di Ascione, pagherebbe lo scotto di avere una parentela scomoda. Dodici gli indagati tra amministratori, ex consiglieri, politici e faccendieri. La notizia delle perquisizioni e alcuni elementi sfuggiti al riserbo investigativo creano clamore e gogna condizionando, rapidamente e ancor prima di ogni riscontro alle accuse, la storia politica della città e di alcuni suoi protagonisti.

Avatar photo

Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).