Racconta la Genesi che dopo avere ucciso Abele il Signore pose su Caino un segno perché non lo toccasse chiunque l’avesse incontrato. Condannato non a morte ma a vivere, nel suo errare sotto il segno salvifico di Dio, Caino divenne quindi costruttore di città e genitore di numerose discendenze. Da radici amare di male piante possono crescere piante benefiche e frutti dolcissimi. A riparare i gravi torti non sono mai le tremende vendette. A ristabilire l’ordine sono spesso storie straordinarie di conversione dal male al bene, dalla violenza alla nonviolenza, dall’odio all’amore. Alle origini di imperi coloniali non è raro incontrare casi di “Caini” liberati dalle loro catene e inviati in avanscoperta in terre inesplorate a costruire e animare città.
No so chi sia il Caino che ha abitato per primo l’“isola alla fine della penisola” (malese) come è descritta nei primi testi che parlano di Singapore. Prima di diventare una città e poi uno Stato, le coste dell’isola sono state raggiunte da giunche cinesi, vessilli indiani e arabi, navi portoghesi. Chiunque vi abbia messo piede, non era certo stato un beato costruttore di pace. Di certo, l’errante costruttore di città della Genesi, oggi, non abita più a Singapore. Nella città-Stato più famosa al mondo, la parte di Caino la svolge lo Stato che continua a uccidere senza tregua nel nome di Abele.
Non fai in tempo a scrivere su questa pagina di due impiccati in un solo giorno che, tre giorni dopo, nella prigione di Changi altre due vite sono strozzate con un cappio fino alla morte. Martedì 2 agosto, alle prime luci dell’alba, erano stati giustiziati un malese di 34 anni e un singaporiano di 46 anni. Nella notte tra giovedì e venerdì, altri due dannati del braccio della morte, Abdul Rahim Shapiee e Ong Seow Ping, sono stati appesi alla stessa forca nello stesso luogo. Queste esecuzioni hanno portato a dieci il numero di prigionieri uccisi a Singapore in soli quattro mesi, il bilancio più alto di quest’anno nel sud-est asiatico.
Sono stati impiccati tutti per traffico di droga. Secondo il diritto internazionale, la pena capitale è limitata ai “reati più gravi”, cioè quelli “con conseguenze letali”. I reati di droga chiaramente non rispettano questo limite. Il regime di Singapore ha deciso di fondare sulla terribilità la sua lotta alla droga. Deride coloro che mettono in dubbio la sua efficacia e insiste sul fatto che le impiccagioni siano un deterrente contro i trafficanti. Anche se le statistiche mostrano che la maggior parte delle persone impiegate per spedire la droga provengono da famiglie povere che vivono ai margini della società.
Mai vista tanta cattiveria concentrata in così poco tempo in uno spazio così ristretto. Nei ridotti confini di una città che è divenuta uno Stato che oltre il muro di cinta del carcere di Changi è divenuto Caino. La chiamano civiltà. Mai come in questo caso vale il detto che per conoscere il grado di civiltà di un Paese occorre visitare le sue prigioni. La luce abbagliante dei palazzi più alti del mondo diventa lume di candela nelle segrete celle della morte di Changi. Nella città abitata dai primi milionari del mondo, il carcere è popolato da poveri cristi, minoranze etniche, emarginati e scarti della società. Potenti gru caricano e scaricano merci di valore nel porto più moderno e tra i più trafficati al mondo. Nel cortile di Changi, tre forche dell’era coloniale caricano e scaricano vite umane senza nessun valore a un ritmo mai visto prima.
Come nei casi precedenti, Abdul Rahim Shapiee e Ong Seow Ping non avevano trovato difensori legali disposti a rischiare l’accusa di abuso del processo giudiziario e pagare ingenti spese processuali per la presentazione di ricorsi dell’ultimo minuto. Senza avvocati a rappresentarli, sono stati difesi in tribunale da Iskandar Rahmat, uno dei prigionieri nel braccio della morte. Storie di solidarietà e di speranza rendono vivo il braccio della morte.
Angelia Pranthaman nel braccio di Changi ha un fratello che si chiama Pannir Selvam. In attesa dell’esecuzione crea musica. Intervenendo a un evento a Kuala Lumpur, in Malesia, per presentare una nuova canzone scritta dal fratello, Angelia ha raccontato un aneddoto su Socrate. Come Pannir Selvam Pranthaman, l’antico filosofo greco fu condannato a morte, ma in attesa della sua punizione cercò di imparare a suonare il flauto. “Ma moriremo domani, a che ti servirà?”, gli chiese un altro uomo in attesa di esecuzione. “Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo sfruttare il tempo che abbiamo ora”. Pannir scrive canzoni all’ombra della forca e questo è il messaggio vitale che lancia allo Stato di Singapore che lo vuole morto.