C’è un limite oltre il quale anche la propaganda travestita da giornalismo diventa grottesca. È accaduto nella puntata di In Altre Parole andata in onda su La7 sabato 8 novembre, dove Massimo Gramellini e Giovanna Botteri hanno costruito con cura quasi teatrale una narrazione sulla “fabbrica della morte” del Sulcis, in Sardegna. Una storia che, più che informare, ha cercato di indurre un senso di colpa collettivo: lavorare in una fabbrica d’armi costituirebbe un dilemma morale, un dramma di coscienza tra la fame e la presunta complicità con la guerra.

Secondo la Botteri, nel Sulcis — “una delle regioni più povere d’Europa” — ci sarebbe “una sola fabbrica”, che per sventura “produce morte”. In realtà, quella fabbrica è la RWM Italia S.p.A. di Domusnovas, controllata dal gruppo tedesco Rheinmetall, e rappresenta sì un polo industriale strategico, ma non certo l’unica realtà produttiva della zona. L’azienda dà lavoro a circa 400 persone dirette e a oltre 1000 nell’indotto, in un territorio dove ogni posto conta. La disoccupazione nel Sulcis supera ancora il 20%: in questo contesto, parlare di “dilemma morale” appare francamente offensivo per chi si guadagna da vivere con dignità.

Nel servizio, la regia ha alternato le immagini di proteste di piazza, lasciando intendere — senza mai dirlo apertamente — che fossero gli stessi operai a manifestare contro la fabbrica. Peccato che non fosse così. Quelle proteste non provenivano dai lavoratori, ma da gruppi esterni: comitati pacifisti, associazioni cattoliche e movimenti ambientalisti, spesso gli stessi che da anni chiedono la “riconversione civile” dell’impianto. I dipendenti, al contrario, difendono la fabbrica, consapevoli che chiuderla significherebbe condannare un’intera comunità alla disoccupazione. Il “dramma etico” inscenato in studio, dunque, esiste nei talk show ma non nella vita reale.

La messinscena, però, non si è fermata qui. Nel dibattito sono intervenuti Gad Lerner e Alessandra Sardoni, che hanno usato il pretesto per spostare il discorso su Israele. Lerner, in particolare, ha evocato “gli indicibili massacri perpetrati da Israele a Gaza”, come se la fabbrica del Sulcis fosse complice della guerra in Medio Oriente. Ma i fatti raccontano altro: non esiste alcuna prova che RWM esporti armi a Israele. Le sue forniture sono destinate per lo più a Paesi NATO ed europei, e ogni esportazione è autorizzata dal Ministero degli Esteri italiano. Eppure, anche senza prove, l’accusa è bastata per costruire l’immagine di un’Italia che “fabbrica la guerra per conto di Israele”. Il presunto “dramma morale” è stato poi esteso anche ai lavoratori della Val Trompia, dove ha sede la Beretta, capofila del distretto delle armi, ed infine ai dipendenti di Leonardo, la più grande industria italiana del settore della difesa. Un copione perfetto per una certa sinistra moralista, pronta a giudicare dall’alto, ma incapace di guardare in faccia la realtà.

È stato, insomma, un piccolo teatro dell’assurdo alla Ionesco, dove gli “intrattenitori morali” del sabato sera hanno dismesso i panni del giornalismo per vestire quelli dei commedianti. Un copione tanto prevedibile quanto ipocrita, dove chi ha la sicurezza di uno stipendio in redazione pontifica sul “dilemma morale” di chi rischia la cassa integrazione. La cosa più surreale era la sicurezza, quasi l’ovvietà con cui i partecipanti sciorinavano le proprie parole, come se fosse naturale pensare che gli operai della fabbrica sarda rientrassero a casa la sera dilaniati dai sensi di colpa.

Il paradosso è che, se davvero si vuole discutere di dilemmi morali del lavoro, basterebbe guardare a Taranto. Lì, all’ex Ilva, centinaia di famiglie vivono un conflitto autentico: lavorare col rischio di ammalarsi o non lavorare per rimanere sani. Gad Lerner questo aspetto lo ha sollevato, ma solo per farne un parallelismo con il caso del Sulcis. Così, anche stavolta, il pubblico ha assistito a un perfetto esempio di giornalismo da salotto: indignazione prefabbricata, realtà distorta e un bell’attacco a Israele, che non guasta mai. Il Sulcis, invece, resta com’è sempre stato: una terra che lavora, nonostante tutto. E che non merita di essere giudicata da chi vive lontano dalla fatica.

Paolo Crucianelli

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