Sei Punte
I vandali gridando al genocidio
Kefiah e Martello, i Propal occupano e imbrattano la sede di Leonardo. Quando il vero germe è la vulgata antisemita
I violenti ignorantelli che ieri hanno fatto irruzione nella sede torinese della Leonardo, abbandonandosi ad atti di vandalismo e inneggiando alla “liberazione della Palestina dal fiume fino al mare”, non si sono inventati autonomamente quello sproposito (una Palestina Judenfrei) né gli altri slogan che facevano da colonna sonora al loro teppismo. Hanno appreso da qualcuno e da qualche parte che quell’impresa, attiva nel campo della difesa, aerospaziale e della sicurezza, sarebbe complice del “genocidio” perpetrato a Gaza “dallo Stato illegittimo di Israele”.
L’accusa antisemita di “genocidio” e la proclamazione antisemita della pretesa “illegittimità” dello Stato ebraico – cose che non hanno nulla a che fare con qualsiasi ragionata contestazione di questa o quella iniziativa del governo israeliano – hanno preso posto nel miserabile patrimonio di conoscenza di quei pericolosi mentecatti non per caso né, appunto, per autonoma ruminazione, ma perché quelle due insultanti menzogne sono ripetute ossessivamente a destra e a manca, e sono accreditate non raramente presso i ranghi più rispettabili della comunità politica, dell’accademia, del giornalismo. E, quando pure non sono accreditate, sono lasciate correre in quel milieu che si fa noncurante, come se si trattasse di opinioncelle magari non proprio dotate di impeccabile fondamento ma insomma innocue, e dopotutto appartenenti a un’area di legittima manifestazione del pensiero in cui sarebbe increscioso interferire.
La sottovalutazione dell’andazzo e, soprattutto, il mancato riconoscimento della causa che lo gonfia e lo sospinge, sono tanto più imperdonabili perché qui non si discute di neutre intemperanze da attribuire all’ordinario sfogo adolescenziale che traduce in bravata qualche idea un po’ scema. Qui si tratta di menzogne sicarie che aggrediscono la conoscenza comune, impadronendosene e rivoltandola nel peggio di cui una società può dar prova, l’imbarbarimento, l’intolleranza, la violenza. Il male di una società che ha abdicato al proprio dovere di controllarsi ed emendarsi assistendo senza far nulla al proprio degrado civile perché non è neppure in grado di riconoscerlo.
Che i responsabili di quei disordini siano individuati e chiamati a rispondere di ciò che hanno fatto è assai meno importante che iniettare in quella loro coscienza di fessi il poco di informazioni e quel tanto (pochissimo) di cultura che li avrebbero dissuasi anche solo dal pensare di impegnarsi nella presunta “causa” che dovrebbe legittimarne la loro militanza da delinquentelli. Ma in quest’opera di inoculazione dovrebbero esercitarsi tutti quelli che semmai hanno fatto il contrario, nutrendo l’ignoranza di quei ragazzotti con quel rancio da birreria di Monaco anni Trenta. Perché quei “manifestanti”, chiamiamoli così, hanno sentito da altri che a Gaza c’è il “genocidio”.
È una temperie che li ha lambiti, ma che non hanno creato loro, quella che li ha portati a dire che Israele è “illegittimo”. È una cantilena che ripetono, ma che non hanno composto loro, quella che reclama la liberazione palestinese “from the river to the sea”. E loro possono avere la colpa di non capire che cosa significhi quel mazzo di bestemmie – pressappoco, la necessità che sia portato a termine il lavoro di Adolf Hitler – ma altri sono responsabili del delitto più grave, vale a dire l’aver messo in bella copia quelle farneticazioni o, peggio, l’averne trascurato la capacità di maligna contaminazione.
C’è la firma di tanta stampa coi fiocchi, il sussiego di tanti senati accademici, il contributo di tanta, illustre politica “democratica” a conferire dignità di protesta non tanto a quel vandalismo, ma agli inni criminali che lo contrassegnavano. Perché anche in questa occasione – come, puntualmente, nel caso di precedenti e analoghi episodi – si arriva tutt’al più a condannare l’atto vandalico (e nemmeno sempre), salvo precisare che nel merito, tuttavia, quella canaglia poteva vantare qualche solida ragione. Come al tempo – e non era molto tempo fa – dei cartelli contro Liliana Segre “agente sionista”, con qualche impettito buontempone a spiegare che il modo era criticabile, certo, ma la “causa” era giusta. Laddove la causa sempre quella è: la rimozione dell’”illegittima” presenza ebraica, laggiù e ovunque. E, se pare troppo, basta chiamarla “sionista” e il gioco è fatto.
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