La relazione sul 34enne morto nel 2004
Attilio Manca ucciso dai clan di Cosa Nostra, l’Antimafia smonta la pista suicidio per l’urologo: “Morte legata ai contatti con Provenzano”
C’era la mafia dietro la morte, il 12 febbraio 2004, di Attilio Manca. È la conclusione della relazione finale sui “nuovi elementi emersi” sul caso approvata dalla Commissione parlamentare antimafia della XVIII legislatura.
Un testo di 136 pagine in cui si nega che la morte dell’urologo 34enne di Barcellona Pozzo di Gotto, trovato cadavere il 12 febbraio 2004 nella sua casa di Viterbo, sia dovuta ad un suicidio o ad overdose.
La morte di Manca, che lavorava da poco meno di due anni all’ospedale Belcolle, è “imputabile ad un omicidio di mafia”, si legge infatti nel documento, e “l’associazione ne ha preso parte (non è chiaro se nel ruolo di mandante o organizzatrice o esecutrice) è da individuarsi in quella facente capo alla famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto”.
A sostegno di questa tesi, scrive la Commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura, ci sono anche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, “rese da soggetti che sono stati ritenuti credibili da parte delle diverse autorità giudiziarie che se ne sono occupati e che non risulta siano stati mai neppure indagati per i reati di calunnia e di false dichiarazioni al pm”, si legge nel documento riportato dall’agenzia Agi.
Nel giugno dello scorso anno il portale web Antimafiaduemila aveva riportato un’intercettazione ambientale di fine 2003 di uomini vicini al capoclan di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, al tempo ancora latitante. Questi dissero che era necessario “fare una doccia” a un medico per aver negato le cure al boss, ossia avrebbero dovuto eliminarlo. Quel medico, sebbene non venga nominato, sarebbe appunto Attilio Manca.
Anche secondo l’Antimafia, che ha approvato la relazione sul finire della scorsa legislatura e che ora è stata resa pubblica, l’ipotesi “assai verosimile” è quella “per la quale la morte di Attilio Manca sia legata ai probabili contatti da questi avuti con Bernardo Provenzano. Non è stato possibile, però, determinare il momento esatto in cui le vite del medico e del latitante si siano incrociate“.
Per la Commissione Antimafia l’omicidio è “l’unica ipotesi ragionevole e priva di contraddizioni con i dati obiettivi delle modalità della morte di Manca, le informazioni fornite dai collaboratori di giustizia, gli elementi raccolti sui contatti fra la latitanza di Provenzano e il territorio di Barcellona Pozzo di Gotto e della provincia di Messina e, infine, le considerevoli opacità su aspetti rilevantissimi riguardanti le cure sanitarie in favore del latitante corleonese”.
La famiglia del giovane urologo morto 18 anni non aveva mai creduto alla tesi dell’overdose o del suicidio e la risultanze emerse dalla relazione dell’Antimafia confermano quanto sempre denunciato dai familiari di Attilio Manca.
In particolare la scena del ‘delitto’ non è compatibile con un suicidio per overdose: tra gli elementi descritti nella relazione dell’Antimafia “la copiosa quantità di sangue trovata sulla scena del delitto; i segni delle punture di eroina rinvenute nel braccio sinistro, incompatibili con il mancinismo puro del Manca e con la sua pessima abilità con la mano destra; le siringhe trovate perfettamente chiuse, con il tappo di protezione; l’assenza di propositi suicidari in capo al Manca; l’assenza di materiale per la preparazione dell’eroina e del laccio emostatico per l’iniezione endovena; l’assenza di pantaloni e di biancheria intima sul corpo della vittima nonostante il mese invernale; la totale assenza di impronte su una delle siringhe usate per iniettare l’eroina e il microscopico frammento, non utilizzabile per comparazioni dattiloscopiche, ritrovato sulla seconda”.
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