La sentenza
Giustizia
Autonomia differenziata, il quesito ambiguo che avrebbe confuso gli elettori. Per riformare serve “la forza di cambiare le cose possibili”

La Consulta ha deciso in data 20 gennaio 2025, in Camera di consiglio, sul giudizio relativo all’ammissibilità della richiesta di referendum abrogativo della legge 26 giugno 2024, n. 86, recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Per inquadrare al meglio la questione, va ricordato innanzitutto che il quesito referendario è sull’intero corpus della legge n. 86 predetta, ma come risultante dalla sentenza n. 192 del 2024 della Corte Costituzionale, che è intervenuta in profondità e con modalità chirurgica sul testo promulgato.
Come per il divorzio
Con tale premessa occorre soffermarsi sulla ragione – espressa nel comunicato stampa – che sintetizza il negativo giudizio sul quesito referendario, riferendolo all’assenza di “chiarezza” dello stesso. È finanche superfluo ricordare che il referendum – proprio per la sua qualificazione espressiva di democrazia diretta – necessita della formulazione di un interrogativo cristallino, immediato, di assoluta semplicità percettiva da parte di ogni strato della popolazione italiana, chiamata a esprimersi in argomento. È quindi da ribadire la fisiologica appartenenza della materia referendaria a questioni che si offrano alla scelta del votante in maniera netta e univoca. Si rimanda, in argomento, al referendum sulla legge relativa al divorzio che infiammò il dibattito pubblico molti decenni fa.
Solo revisione costituzionale
La Corte, come si legge nella nota, ha evidenziato che l’oggetto e la finalità del quesito (come sopra già segnalato) non risultano “chiari”. Ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore. Il referendum – e questo è il punto da monitorare – verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata, “come tale”, e in definitiva dunque sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale.
Servono obiettivi possibili
Il denso e stringato concetto, testualmente riferito, coglie nel segno. Traspare, se lo si interpreta rettamente, un bias – di cui la Consulta ci avverte – che sembra aver connotato tutta o gran parte dell’intensa campagna pro-referendaria: il desiderio di azzerare la riforma del 2001, come se si fosse presa consapevolezza della sua esistenza improvvisamente – a oltre 20 anni dal suo innesto nella Carta – rendendosi urgente la sua eradicazione. Tanto traspare da commenti che, ad esempio, hanno ritenuto del tutto demolito dalla sentenza n. 192 del 2024, l’art. 116, III comma della Costituzione. Il che, evidentemente, non è. Anzi: nella sentenza citata, la Corte si è a lungo e dettagliatamente soffermata sull’ermeneutica e sull’operatività del comma menzionato. Resta allora attuale e sempre più vibrante l’invito alle forze genuinamente riformiste di serrare i ranghi verso obiettivi possibili e non chimerici, sicché un’azione illuminata e consapevole contribuisca a forgiare un quadro istituzionale-territoriale differenziato nell’equilibrio, intriso di proporzionalità e ispirato allo sviluppo dei territori e delle persone. Come dice il vecchio saggio: “Signore, dammi la forza di cambiare le cose possibili” (id est: la legge n. 86/2024) “e di saper convivere con quelle irrealizzabili almeno in tempi brevi”. Ossia: l’attuale Titolo Quinto da riformare con legge costituzionale.
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