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Guida al referendum sulla giustizia

Studente e social media manager
Guida al referendum sulla giustizia

Il referendum di cui pochi parlano

Il prossimo 12 giugno dalle 7 alle 23 gli italiani sono chiamati alle urne per esprimersi su cinque quesiti referendari sul tema della giustizia. Il contenuto di questi referendum è noto a poche persone, in particolare agli addetti ai lavori e a chi è appassionato di giustizia, ma molti non ne sanno veramente niente. Ma è bene ricordare che per la validità della consultazione è necessario che si rechi a votare almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto. È possibile poi scegliere di votare anche per un solo quesito tra quelli proposti e si dovrà votare “sì” per cambiare la legge attuale, “no” per lasciarla invariata. La giustizia è un ambito percepito spesso come lontano e complicato, ma  cercheremo di capirne di più, per poi andare a soffermarci sui quesiti.

La Costituzione e il CSM

Iniziamo partendo dalla nostra Carta Costituzionale: da Costituzione il potere giudiziario è attribuito alla magistratura, formata dall’insieme di giudici e magistrati. Inoltre tutti i provvedimenti che riguardano la carriera dei magistrati, dalle promozioni alle sanzioni disciplinari passando per i trasferimenti, sono adottati dal CSM, il consiglio superiore della magistratura, formato da 27 membri, di cui tre di diritto (il Presidente della Repubblica, e i due giudici di rango più alto della Cassazione), 16 “membri togati” (eletti tra tutti i magistrati) e 8 “membri laici” eletti dal Parlamento.

La magistratura politicizzata

I caratteri principali della magistratura sono l’imparzialità e l’indipendenza, anche se bisogna segnalare come in Italia si siano verificati processi in cui questi principi sono venuti meno. Infatti si parla spesso di giustizia politicizzata. Il che rappresenta un dramma e un pericolo per la salvaguardia dei principi democratici dello stato di diritto. Per molti, uno degli elementi più espliciti di questa politicizzazione sta nell’associazionismo dei magistrati in correnti politiche nell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM). Questo fenomeno denunciato da più parti condiziona i criteri di elezione del CSM, di cui abbiamo parlato prima. Altri denunciano poi anche una sorta di “strapotere” della magistratura, tale da sottrarla a qualsiasi forma di controllo e da renderla organismo in grado di operare fuori dalle proprie specifiche funzioni e di condizionare l’attività degli altri due poteri, quello esecutivo e quello legislativo. Ciò rappresenta quindi un vulnus democratico e per le garanzie dello stato di diritto. Pensiamo che già negli anni ’80 lo scrittore Leonardo Sciascia scriveva che “l’innegabile crisi in cui versa in Italia l’amministrazione della giustizia (e crisi è forse parola troppo leggera) deriva principalmente dal fatto che una parte della magistratura non riesce a introvertire il potere che le è assegnato, ma tende piuttosto ad estrovertirlo, ad esteriorizzarlo, a darne manifestazioni che sfiorano, o addirittura attuano, l’arbitrio. Quando i giudici godono il proprio potere invece di soffrirlo, la società che a quel potere li ha delegati, inevitabilmente è costretta a giudicarli”. Inoltre numerosi scandali, come quello di Palamara, hanno portato ai minimi la credibilità dei magistrati.

I quesiti referendari

Dopo questa lunga ma doverosa promessa, arriviamo ai quesiti referendari. Il primo tratta la separazione delle funzioni dei magistrati: serve per abrogare le norme attuali che consentono il passaggio dalle funzioni giudicanti (giudice) a quelle requirenti (pubblico ministero) e viceversa. Il fronte del sì dice che è necessario per la salvaguardia del principio di imparzialità proprio della magistratura, chi è contro questo quesito sostiene che, in caso di vittoria del sì e quindi di abrogazione di tali norme, non ci sia una reale separazione delle carriere.

Poi il quesito sul CSM, che riguarda le norme che regolano l’elezione della componente togata del Consiglio, di cui abbiamo parlato in precedenza: con il sì sparirebbe l’obbligo di 25 firme di magistrati per proporre una candidatura,  in modo da limitare il peso delle correnti secondo chi è a favore. Chi è per il no sostiene invece che non eliminerebbe il sistema delle correnti.

Altro quesito per abrogare la “Legge Severino”, che fissa la decadenza e l’incandidabilità dei condannati in maniera definitiva per reati contro la pubblica amministrazione, ma che fa scattare la sospensione automatica per sentenze non definitive per chi è eletto in un ente locale. I fautori del sì dicono che l’attuale legge penalizza eccessivamente gli amministratori locali che vengono interdetti anche con sentenze di primo grado; chi è per il no dice che l’attuale legge consente la prevenzione della corruzione e che sarebbe un errore abrogarla.

Penultimo quesito sulle misure cautelari, per limitarle, e non eliminarle, prima della condanna definitiva. In Italia si abusa molto spesso di questa norma, e per questo il fronte del sì pensa che costituisca una violazione del principio di presunzione d’innocenza. Il fronte del no dice invece che si rischierebbe di non poter applicare più norme cautelari.

Infine la valutazione dei magistrati, che, in caso di vittoria dei sì, potrà essere fatta anche da avvocati e professori universitari che, pur essendo già ora all’interno dei consigli giudiziari interni al CSM che si occupano delle valutazioni, non hanno diritto di voto. Chi è per il sì sostiene che la valutazione interna dei magistrati sia poco attendibile, mentre il fronte del no sostiene che non è giusto che gli avvocati si occupino delle valutazioni dei magistrati perché loro controparte.

L’importanza del voto

Su questi quesiti, come ha scritto Gian Domenico Caiazza proprio sul Riformista, è in atto una “congiura del silenzio, volta ad impedire il raggiungimento del quorum, […] di una evidente, allarmante gravità” e che costituisce “una emergenza democratica che nessuno può seriamente confutare”. I temi su cui siamo chiamati a pronunciarsi sono di grande rilievo per la vita e la tenuta democratica di questo paese e quando il popolo ha il diritto/dovere di poter direttamente dire la sua su essi è giusto farlo, certamente informandosi prima, anche se in un caso come questo non è facile. I cittadini devono essere infatti decentemente informati del fatto che possono esprimersi in un modo o nell’altro, e che da loro può scaturire un esito importante, che può far cambiare le cose o farle invece rimanere uguali. Ma l’occasione di scegliere tra due diverse idee di giustizia, che sono due idee di Paese, non può essere perduta.