I genitori ribadiscono: "Non si è suicidato"
Caso Paciolla, il sangue e il ruolo del referente Onu: i dubbi sulla morte del cooperante in Colombia
“Mario era un ragazzo che amava la vita. La considerava sacra. Per questo non abbiamo mai creduto all’ipotesi del suicidio”. Anna e Pino Paciolla parlano del caso del figlio Mario, cooperante napoletano trovato morto in Colombia in situazioni ancora da chiarire. Un mistero che si infittisce sempre più stando alle ultime ricostruzioni. Il cadavere del 33enne è stato ritrovato nella sua abitazione a San Vicente del Caguan, alle porte della foresta amazzonica, lo scorso 15 luglio. Aveva da poco comprato il biglietto per tornare in Italia.
L’indagine colombiana ha chiuso il caso come suicidio. La procura di Roma ha aperto un fascicolo affidandolo ai carabinieri del Ros, esperti di omicidi internazionali. La Repubblica ha ricostruito la storia: “Secondo quanto è stato possibile ricostruire, Mario aveva avuto nelle ultime settimane problemi sul lavoro”. Paciolla era impegnato con una missione Onu con un programma di reinserimento per gli ex guerriglieri delle Farc. In passato aveva lavorato in Giordania, India, Argentina. Nei giorni precedenti al suo ritrovamento aveva sentito quotidianamente i genitori: particolare insolito. “Era spaventato, impaurito – continua il quotidiano – ‘Ti ricordi quando avevo battibeccato a scuola, per un’ingiustizia, con quel professore e poi mi ha bocciato? Ecco, mi è successa la stessa cosa’, aveva detto alla madre pochi giorni prima di morire”.
Aveva prenotato il biglietto aereo, pronta la valigia, con i regali per familiari e amici, quando alle 22:45 del 14 luglio entra per l’ultima volta nel suo Whatsapp. Viene ritrovato la mattina dopo impiccato. Sui polsi alcuni tagli. L’appartamento è ordinato. C’è tanto sangue. “Quei tagli sui polsi erano superficiali – scrive Repubblica – tali da non poter causare la morte né, tantomeno, uno spargimento di sangue così importante come quello trovato a casa. Sembrano stati fatti appositamente, come per raccontare un tentativo di suicidio. I segni sul collo, che avrebbero causato la morte, non appaiono essere così importanti da essere la causa della morte”.
Ambiguo, nella ricostruzione, il ruolo del referente di Sicurezza della missione dell’Onu Christiam Thompson. Il giorno prima chatta fino alle dieci con Paciolla. Sarebbe stato il primo a vedere il cadavere. Avrebbe chiamato la Polizia 30 minuti dopo l’ingresso in casa. Gli agenti trovano la porta semiaperta e ritengono che la scena potrebbe essere stata contaminata.
“Thompson dice che computer e cellulari appartenevano all’Onu e quindi non potevano essere portati via. E nonostante, dicono i poliziotti, gli fosse stato detto di non toccare nulla, nei giorni successivi porta via alcuni oggetti cruciali della scena del crimine. Che, poi racconterà, essere stati smaltiti in discarica e quindi non più disponibili. Il 17 luglio sempre Thomposn torna a casa di Mario con due donne che puliscono tutta la casa con la candeggina e riconsegnano le chiavi al proprietario. Il giorno dopo arriva la Polizia per effettuare un sopralluogo. Ma ormai non c’era più niente”. El Espectador ha scritto che per la mancata vigilanza quattro poliziotti sono indagati.
LE PAROLE DEI GENITORI – Con la madre e il padre di Mario Paciolla l’Onu è stata “reticente”. Lo dicono gli stessi genitori al quotidiano. La comunicazione della morte che ricevono dall’Organizzazione dura in tutto dieci secondi. “Ci aveva raccontato di aver avuto una discussione all’interno dell’organizzazione e che si era andato a mettere in un guaio. Gli abbiamo chiesto se avesse timori per la sua vita. Ci tranquillizzò, come sempre”, hanno raccontato.
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