“Mario è stato ucciso non si è tolto la vita”. Continuano a ripeterlo da giorni i familiari e gli amici del 33enne trovato morto in Colombia nell’abitazione dove viveva a San Vicente del Caguan. Mario Carmine Paciolla, originario del Rione Alto a Napoli, era un collaboratore Onu e si trovava nel Paese sudamericano per la verifica dei risultati dei progetti delle Nazioni Unite.

La morte è stata riscontrata alle 19.40 italiane del 15 luglio scorso e sarà l’autopsia a fare chiarezza sulle cause del misterioso decesso. Chi lo conosce è pronto a mettere la mano sul fuoco sull’infondatezza di un presunto suicidio dell’attivista napoletano. Negli ultimi giorni Mario non aveva nascosto alla famiglia lo stato di apprensione in cui viveva a causa di una serie di comportamenti di persone che conosceva che lo facevano sentire minacciata.

Era rinchiuso in casa per il Coronavirus e aveva comprato il biglietto aereo per rientrare in Italia. Tutto questo però non è avvenuto perché Mario è morto pochi giorni prima del suo ritorno. Secondo una prima ricostruzione delle autorità colombiane, il 33enne sarebbe morto per impiccagione ma c’è più di qualche aspetto che non convince i familiari e le persone a lui vicine. La famiglia di Mario è in costante contatto con l’Ambasciata italiana e con l’Onu, in attesa di notizie.

CHI ERA – Classe 1987, Mario è cresciuto a Napoli nella zona del Rione Alto. Laureato in Scienze Politiche ha vissuto per parecchi anni all’estero tra Francia, Giordania, India e Argentina. dal momento che il suo lavoro lo aveva portato in Giordania, in India e in Argentina. Da tempo era in Colombia dove vi è rimasto nonostante l’avvento della pandemia di Coronavirus e le restrizioni che ha comportato la diffusione del contagio in Sudamerica.

LA PETIZIONE – Su Change.org è partita una petizione affinché si faccia chiarezza sulla sua morte: “Ieri alle 19.40 ora italiana – si legge sulla piattaforma in una nota del 16 luglio scorso -, è stata data notizia alla famiglia della morte di Mario Carmine Paciolla, 33anni, viveva da mesi in una località a 650km da Bogotà, apparteneva ad una organizzazione ONU per la verifica dei risultati dei progetti ONU sul campo. Da giorni il dottor Paciolla si sentiva con la famiglia confessando la sua apprensione per strani comportamenti di gente a lui nota che lo facevano sentire minacciato. Era chiuso in casa per le misure del contenimento del contagio Covid, aveva appena comprato il biglietto aereo per tornare in Italia ma i sicari lo hanno raggiunto prima. La scena è stata ricostruita come suicidio per impiccagione. Più di un elemento smentisce questa ricostruzione. Per favore indagate su questa ennesima morte di un giovane italiano all’estero per mano di criminali. La morte di Mario non resti impunita, diamo visibilità da subito a questa ennesima ingiusta tragedia.

L’ALTRO APPELLO – “Dobbiamo diventare milioni per avere la verità sulla morte di Mario Paciolla”. Questo l’appello della Rete accademica europea per la pace in Colombia (Europaz), che in una nota esprime il proprio dolore e sgomento per la morte di Mario Paciolla, il cooperante delle Nazioni Unite trovato senza vita a San Vicente del Caguán, nel dipartimento colombiano del Caqueta. Europaz si unisce inoltre alle richieste di accertamento della verità su quanto accaduto al 33enne, mosse dai famigliari, che ritengono non credibile la tesi del suicidio ipotizzata dagli inquirenti. La Rete auspica dunque un intervento deciso da parte delle autorità italiane e colombiane affinché venga fatta chiarezza sull’accaduto, svolgendo le opportune indagini e pronunciandosi in favore dei diritti della persona, della sicurezza di tutti coloro che sono impegnati a vari livelli nella costruzione della pace.

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LA LETTERA DELL’AMICO – Francesco Faiello, amico del 33enne napoletano, gli ha dedicato un lungo messaggio nel corso del quale lascia intendere

“Hai sempre odiato la normalità. Ieri la terribile notizia. Si nasce, si cresce e poi si diventa uomini. Ci hanno insegnato ad amare, ad apprezzare la vita e a riempirla di colori giusti coi tratti più veri, o forse concreti: il lavoro stabile, la casa, la moglie, i figli e la famiglia.
Quello che abbiamo fatto di nostro, che esula da quel panorama di aspettative più tipico e più tradizionale, lo abbiamo imparato a fare da soli. Abbiamo letto, abbiamo viaggiato, parlato mille lingue, conosciuto gente e camminato per i sentieri più particolari ed irriverenti pur di avvicinarci alla ricerca di ciò in cui si crede: il bello, il giusto o il vero.
Non siamo tutti uguali e nella differenza (e nel rimarcare le diversità o le eterogeneità) chi ci governa spesso ci sguazza: semina paure, fomenta odio, evidenzia dati, istiga al terrore. Quante cose succedono su questa terra, quante cose colpiscono le nostre persone, quanto è percepibile la menzogna e quanto male fa desistere! Combattere, combattere. Sempre.
La generazione che non si ferma siamo noi. Più vivi che mai, più solidali di sempre perché troppo poco egoisti. Così siamo cresciuti ed abbiamo imparato ad essere. Guardiamoci bene: siamo bellissimi.
Potevi startene qui: nella Tua terra, nella fertile normalità di chi si accontenta.
Forse la parola “normalità” Ti è sempre sembrata brutta, mal proporzionata alle ambizioni ed alle velleità di una vita che è meritevole solo se viene vissuta.
Potevi accarezzare con mano i Tuoi personalissimi (anche egoistici, che male c’è) progetti, ammirarli prendere la forma delle Tue necessità e domarli con ritmo e passione ad ogni evenienza. Ah, che sana cosa il controllo di tutto: di ciò che piace a Te, di ciò che vuoi Tu, di ciò che ti va di fare e di possedere.
Mario, ma che hai fatto?
Potevi pensare, al massimo, di tentare la sorte a carte con gli amici la domenica sera in inverno, bere whisky o the caldo e parlare di pallone, di donne o di quel viaggio lontano che vuoi fare da tempo e che solo per soldi o impegni stai prorogando.
Non hai voluto saperne. Proprio non Ti andava di morire da sano senza averci provato. Come, in cosa? A cambiare il mondo.
Quelli come Te si riconoscono da lontano: hanno un tono della voce roboante, un sorriso smagliante, la parola giusta sempre e, soprattutto, non piangono mai. Come fate, me lo spieghi, a non piangere mai?
Ci hai provato, Mario. Lo sappiamo tutti. Comunque per noi ci sei riuscito. Ancora? Ma come, in cosa? A cambiare il mondo. Ti hanno fermato — perché Ti hanno fermato — ma non fermeranno noi. Parleremo di Te ai nostri amici, ai nostri vicini, ai nostri figli e Tu non morirai più.
Quelli come Te si conoscono da lontano, si diceva: piacciono a tutti ed hanno un destino breve. Forse siete nati per una missione: fare del bene e lasciare l’esempio. Tu, Giulio, Carlo, Peppino, Claudio e tanti altri siete tutti simili e diversi (ed anche di ere diverse), ma maledettamente uniti e presi insieme per quello che ci avete dato.
Ormai siamo disillusi, sempre più pratici, ma non saremo mai domi nell’illuminare ed accendere le coscienze nonostante tutto, nonostante il mondo. Ci vogliono gregari e biechi al punto giusto, per poter mandare avanti la parvenza di un’epoca serena che abbia tutti i crismi della felicità globale.
A noi piace pensare, sperare e, più di ogni altra cosa, sognare. Di nuovo, cosa? Sognare di cambiare il mondo!
Chi ti ha spento è il marcio, chi ti ha zittito è il male, chi ti ha toccato ora tocca tutti.
Non costringeteci a credervi e ad essere vostri complici, facendo parte di un sistema di omertà — sempre uguale negli anni e nella storia — dominato dal peggiore dei silenzi.
Non ci avrete mai come volete voi.
Hasta siempre, Mariettiè.
Francesco Faiello

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