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Colline Teramane, 20 anni di docg: l’Abruzzo in cammino verso la qualità
Tortoreto è un piccolo borgo di bassa collina con il Gran Sasso alle spalle e il mare Adriatico di fronte. In questa cornice delle dolci colline teramane si trovano le vigne ad anfiteatro di Tenuta Terraviva, sottratte all’urbanizzazione. “Questi 30 ettari sono circondati da case, il turismo ha preso il sopravvento”, racconta Pietro Topi, guida dell’azienda. “I terreni furono acquistati negli anni 70 da mio suocero Gabriele Marano, un imprenditore edile. Nei primi anni faceva l’uva e la vendeva alle cantine sociali e ad altri imbottigliatori. Poi nel 2006 abbiamo pensato di fare un salto di qualità”, continua.
Pietro ha uno sguardo accogliente e diretto e una grandissima passione. La sua filosofia è precisa: “il fascino dei vini naturali ci ha conquistato, siamo partiti con l’idea di un vino identitario, capace di esprime questo territorio, fermentazioni spontanee e lieviti indigeni”. Ammette: “sono serviti anni di studio, abbiamo capito le cose un po’ alla volta, per esempio la necessità di vinificare le uve in maniera separata, rispettando i singoli vigneti”. Una scelta che dura tutt’ora: a Terraviva ad ogni vigneto corrisponde la sua bottiglia. La posizione è ottimale per il clima, bilanciato tra le fredde correnti del Gran Sasso e la calda brezza marina, che favorisce le escursioni termiche tra giorno e notte necessarie per la maturazione delle uve e la fissazione degli aromi. Anche i suoli, per la maggior parte calcareo-argillosi, sono ideali per trasmettere quelle sostanze minerali che arricchiranno il prodotto finale.
Terraviva è uno di quei casi tipici in cui il lavoro dell’uomo è davvero cruciale e giustifica il motivo per cui le pratiche vitivinicole rappresentano una componente fondamentale del terroir. Spazio solo ai vitigni autoctoni e conservazione della tecnica di allevamento della pergola abruzzese, prevalenza della pratica agricola (biologica dal 1998, in transizione verso il biodinamico dal 2018) sull’intervento in cantina, modesto ricorso all’uso dei legni, con preferenza per acciaio, cemento, anfora e botti grandi. Scelte spesso audaci che richiedono comunque un controllo stringente delle lavorazioni. E una lunga attesa: “i nostri vini hanno bisogno di tanto tempo in bottiglia. Il Montepulciano deve riposare almeno 12 mesi nel vetro, il Montepulciano Lunae conservato nell’ovetto ha bisogno di due anni in bottiglia”, spiega Federica, la figlia di Pietro, che bene incarna l’immagine di un’azienda capace di innovare e ripensarsi continuamente.
Il risultato finale è davvero apprezzabile. Il Trebbiano Mario’s 48, dal colore dorato, sa di frutta gialla e fiori gialli con sfumature sulfuree, sorso sapido e armonico. Ottimi i due Pecorino, più beverino e facile il primo, mentre Ekwo è un grande vino mediterraneo, forte di una potente energia acida, di prospettiva con un annuncio di idrocarburi. Un plauso meritano i vari Montepulciano: si emancipano dall’idea del vino rosso muscolare, legnoso e ruspante che purtroppo è ancora troppo diffusa nella regione. Terraviva propone Montepulciano senza estrazioni eccessive, caratterizzati dalla bevibilità, dal frutto pulito e fresco, senza spigoli ruspanti ma fini pur essendo ricchi di materia. Lunae è certamente il più fine ed elegante tra tutti.
L’azienda della famiglia Topi è un bell’esempio del tentativo di questo territorio, riunito nella denominazione Colline Teramane Docg, di scegliere una propria strada originale rispetto al resto dell’Abruzzo. Per esempio, sono numerose le aziende che hanno scelto di convertirsi alle pratiche più sostenibili: dall’agricoltura biologica alla lotta integrata, alla biodinamica. La denominazione nasce nel 2003, ma 20 anni nel mondo del vino sono un tempo brevissimo. Da apprezzare però lo sforzo di valorizzare la produzione di Montepulciano, l’uva protagonista di questa zona, prodotta in 33 comuni interamente compresi nella provincia di Teramo. Oggi la denominazione ha una potenza di fuoco di 600 mila bottiglie prodotte, con un significativo +50% negli ultimi due anni, e 172 ettari vitati: il Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane ha avviato un percorso verso la qualità.
La recente anteprima, svolta ai primi di marzo a Teramo, racconta la ricerca della propria specifica identità. “In questi 20 anni abbiamo affermato l’esistenza del luogo ‘Colline Teramane’. Grazie al lavoro dei viticoltori si è delineato nell’immaginario collettivo degli abitanti e dei visitatori il confine geografico e produttivo delle Colline Teramane: sono nati altri prodotti – come la pasta e il miele – che usano il nome ‘Colline Teramane’. Insomma: abbiamo dato importanza a un’area e un valore ai suoi prodotti”, spiega con orgoglio Enrico Cerulli Irelli, titolare della cantina Cerulli Spinozzi e presidente del Consorzio Colline Teramane Docg. Una sfida importante che ha modelli eccellenti: basti pensare che la Franciacorta è, di fatto, un territorio/brand recentissimo, inventato dalla capacità visionaria di alcuni grandi imprenditori.
Un modello di riferimento anche per le dolci colline teramane, che hanno tutte le caratteristiche per esprimere oggi una propria originale dimensione. E, a differenza di altri territori, la tradizione non manca: basti pensare per esempio a cantine come quella della famiglia Illuminati, una lunga storia attraverso 5 generazioni di passione per il vino, una superficie di oltre 130 ettari che si estende nel territorio di Controguerra, proprio al confine con le Marche. Il campione della casa resta il Montepulciano Zanna che prende il nome dal vigneto omonimo e che colleziona premi prestigiosi da anni. Insomma, una produzione segnata da coerenza, continuità e affidabilità che contribuisce ad aiutare l’affermazione del territorio. A partire da queste solide basi, bisogna “fare in modo che i viticoltori credano sempre di più nella denominazione affinché emerga trovando il suo posizionamento nella grande ristorazione italiana e sul mercato internazionale”, aggiunge Cerulli Irelli. Gli assaggi di 38 campioni nella Sala Ipogea di Teramo ci dicono però che la strada è ancora lunga.
In primo luogo, si riscontra una grande eterogeneità (in parte dovuta alla presentazione di annate differenti): ovviamente, non si chiede ai produttori di realizzare lo stesso vino, ma si chiede alla denominazione di essere riconoscibile. Secondo: c’è ancora un uso eccessivo dei legni e qualche eccesso di estrazione, pratiche da aggiornare per offrire un prodotto più adatto al gusto contemporaneo. Terzo: buona parte dei campioni del 2021 (e perfino del 2020) non sono ancora pronti per la valutazione. Viceversa, le Riserve, dal 2018 al 2016, si presentano già più distese e ci ricordano che il Montepulciano ha bisogno di un lungo tempo di riposo e di assestamento (anche in bottiglia). In futuro, probabilmente, potrebbe essere necessario rimettere le mani al disciplinare per quelle modifiche necessarie a valorizzare l’affinamento. Conclude Cerulli Irelli: “Abruzzi: si chiama così la nostra Regione, al plurale. E tutto sommato, parlando del vino, questa pluralità ci aiuta a raccontare la nostra realtà regionale, che per quanto piccola è molto sfaccettata”. E se le Colline Teramane avranno la giusta determinazione potranno candidarsi a rappresentare una delle migliori sfaccettature del vino abruzzese.
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