Leggendo i recenti decreti, le sentenze, le lettere della Commissione Ue in merito al golden power, azionato dal governo italiano per l’OPS Unicredit e non anche per quella di Mediobanca, sembra di assistere a una commedia del teatro dell’assurdo di Ibsen: un’incomprensione tra i protagonisti, in cui ciascuno ritiene in buona fede di essere nel giusto. Cerchiamo di capire perché. Il golden power nasce in Italia nel 2012 per superare le sanzioni Ue contro le golden shares, come strumento di controllo degli investimenti diretti esteri a tutela della sicurezza nazionale che, secondo la giurisprudenza internazionale è insindacabile nell’an (in quanto self-judging), e soggetto a un sindacato ‘debole’ quanto alle misure imposte.

Con il golden power europeo del 2019, quello italiano e degli Stati membri, che nel frattempo se ne erano dotati, sono stati coordinati, con riferimento però solo agli investimenti diretti extra-Ue. Questo perché le imprese Ue godono della libertà di circolazione e del diritto di stabilimento, e dunque, nei loro confronti, una decisione dello Stato di esercitare il potere non è assoluta (insindacabile), ma soggetta a condizioni (il parametro è la “minaccia concreta grave e attuale” alla sicurezza nazionale) e a controlli (sindacato giurisdizionale). Quindi nei settori assoggettati a golden power, diventati sempre più numerosi a seguito della pandemia e del mutato scenario internazionale, l’esercizio del potere con cui il governo può vietare o condizionare le operazioni, è legittimo solo se, a seguito dell’operazione, il controllo o l’influenza dominante, in caso di acquisizione, o l’acquisto di prodotti o servizi “critici” coinvolgano soggetti esteri. Il potere sarà assoluto nel caso in cui queste siano imprese extra-Ue, relativo in caso di imprese Ue. Resta fermo, in entrambi i casi, il principio di proporzionalità come parametro di valutazione dell’esercizio del potere, e quindi delle misure adottate.

Nel caso in cui entrambe le imprese (acquirente e target) siano nazionali e non si rilevi nessun elemento di “estraneità” rispetto all’ordinamento italiano quanto alla governance e alla gestione, l’unico esito legittimo dello scrutinio è l’archiviazione. Il Tar del Lazio nel caso Unicredit ha invece ritenuto il golden power un potere insindacabile “per sé” in quanto atto politico, o di alta amministrazione (che però hanno entrambi i limiti della tutela dell’interesse generale stabiliti dalla Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale), ed è intervenuto solo sulle modalità d’esercizio. Ovvero, ha riconosciuto al governo i poteri per le operazioni che coinvolgono un’impresa extra-Ue.
La Commissione Ue a sua volta, nella lettera di risposta al governo italiano, ha misurato l’uso del golden power italiano sul parametro del regolamento sulle concentrazioni, creando un ulteriore corto-circuito. Se il golden power è legittimo, è misura eccezionale che deroga al diritto della concorrenza. E il sindacato giurisdizionale sulla legittimità dell’esercizio del potere è garantito a livello nazionale (in Italia, dal Tar Lazio e in appello dal Consiglio di Stato).

Questo rileva perché la Corte di Giustizia Ue, che si pronuncerebbe in caso di procedura d’infrazione contro l’Italia per violazione del diritto della concorrenza, si era già espressa su un golden power nazionale (Xella, 2023), dichiarandolo illegittimo perché adottato contro un’impresa che era costituita nella Ue, ritenendone irrilevante il controllo (in quel caso, cinese). È evidente che, se così interpretato, il golden power viene svuotato totalmente di efficacia. Questa sentenza ha giustificato la diffidenza di molti Stati membri e indotto la Commissione Ue a proporre una modifica al golden power europeo (tuttora non adottata).

In sintesi: il golden power è misura eccezionale, e quindi da un lato è in deroga al diritto vigente (anche alla concorrenza), che viene “sospeso” per difendere la sicurezza nazionale, mentre dall’altro va interpretata in modo restrittivo. È uno strumento molto efficace contro operazioni di imprese extra-Ue, parzialmente contro imprese Ue non soggette a controllo o influenza dominante di imprese extra-Ue, poco o per nulla efficace contro operazioni tra soggetti italiani. Poiché il consolidamento dei mercati europei – non solo di quello bancario – è inevitabile e ormai improcrastinabile, è ragionevole attendersi che il golden power diventi il nuovo strumento di regolazione dei mercati, sottratto alle autorità indipendenti e gestito dai governi.

Nel contesto attuale, i governi tendono ad esercitare i poteri di cui dispongono a difesa degli interessi nazionali al di là di quanto espressamente previsto dalle norme, e nelle relazioni internazionali il fine giustifica i mezzi. Ne consegue, sul piano interno, il rischio di un esercizio discrezionale non del potere, ma del diritto. È un tema che si sta ponendo non solo in Italia e merita attenzione, perché contribuisce a ridefinire la nozione europea continentale di democrazia economica e il suo perimetro.

Fabio Bassan

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