Economia
Banche e Golden Power: allo Stato l’ultima parola? Tutela strategica ma senza freni su mercati e investimenti
Sempre più spesso in occasione dell’annuncio di operazioni di grande impatto sulla realtà economica del sistema Paese si sente invocare l’esercizio del Golden Power da parte del Governo. Una tutela di un interesse nazionale declinata, a volte, anche in forme molto differenti tra loro. La storia dell’esercizio dei poteri speciali ha inizio alla fine degli anni Novanta del secolo scorso e s’intreccia con la complessa ricerca di un soddisfacente punto di equilibrio tra interessi contrapposti di diritto ed economia, Stato e mercato, politica nazionale e dinamiche europee, poi multilaterali.
All’inizio di questo millennio si erano diffuse in Europa, spesso in concomitanza con i processi di privatizzazione delle grandi aziende pubbliche, norme che attribuivano ai governi il potere di orientare, spesso in modo decisivo, le scelte strategiche delle società a partecipazione statale tramite il Golden Share. A seguito di ripetuti interventi della Corte di Giustizia, anche l’ordinamento italiano si è gradualmente evoluto verso forme non più incentrate sulla riserva di un generale potere autorizzativo da parte dell’Autorità pubblica o di veto indiscriminato sulle delibere societarie. Giusto evidenziare, d’altra parte, come nelle pronunce della stessa Corte di Giustizia non sia mai stata ritenuta incompatibile a priori con il diritto euro-unitario la previsione di poteri speciali. La stessa Corte ha piuttosto enfatizzato la necessità di predeterminare criteri trasparenti e non discriminatori per l’esercizio di tali prerogative.
Dal Golden Share al Golden Power
Il passaggio dallo schema della Golden Share al modello del Golden Power si caratterizza, dunque, per il fatto che i poteri speciali sono esercitati in specifici settori dell’economica, ritenuti strategici e con riferimento ad asset preventivamente individuati. Sono inoltre previste soglie di rilevanza differenti delle forme d’intervento, a seconda del coinvolgimento o meno nell’operazione di soggetti riconducibili ad entità statali extra-europee. Quest’ultima distinzione, peraltro, non dipende solo dal fatto che alcuni ordinamenti non abbiano ancora compiutamente sposato i principi democratici, ma anche dall’esistenza all’interno dell’UE di un robusto apparato di presidi a tutela del mercato e dei suoi operatori.
Nel periodo compreso tra il 2012 e il 2019 la disciplina del Golden Power si è caratterizzata principalmente come strumento a garanzia degli investitori esteri, ai quali si voleva assicurare la stabilità necessaria a programmare l’ingresso nel tessuto economico nazionale, garantendo che la forma della loro partecipazione nelle imprese italiane sarebbe stata individuata in modo puntuale. L’esercizio del potere di veto, pur previsto sin dall’impianto originario della disciplina, è stato considerato come una sorta di extrema ratio, attivabile solo nelle ipotesi di minaccia di grave pregiudizio per l’interesse pubblico in un settore identificato come strategico dalla legge. Questo modello è entrato in crisi con l’emergenza epidemiologica da Covid-19.
La sfera applicativa
Nel 2020, infatti, si è assistito ad un ampliamento della sfera applicativa del Golden Power, includendo molti ambiti dell’economia nazionale, compreso l’intero settore creditizio e finanziario. L’obiettivo è quello di verificare la sussistenza di un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico derivanti da operazioni riguardanti sia le tecnologie critiche, sia attività di rilevanza strategica di questo tipo di operatori. Il timore di contraccolpi sulla stabilità dell’economia interna, già messa a dura prova dallo stato di crisi, ha comprensibilmente indotto il Legislatore a intervenire per evitare che asset strategici del Paese potessero diventare oggetto di operazioni o “scalate” ostili in un momento di particolare debolezza. Superata la fase emergenziale l’idea, o forse il desiderio di alcuni, che lo Stato mantenesse la possibilità di avere l’ultima parola sulle operazioni più rilevanti è tornata ad affacciarsi nel dibattito generale.
Questa fascinazione, tanto più diffusa per certi versi in un mondo dove le spinte protezionistiche stanno tornando prepotentemente alla ribalta, mostra evidenti limiti nel caso di istituzioni bancarie che si inseriscono stabilmente nel perimetro del mercato europeo. Senza entrare nei dettagli tecnici dell’operazione finanziaria tra Unicredit e BPM, riesce difficile pensare che da un consolidamento tra due istituti possa derivare un rischio per la sicurezza nazionale così grave da imporre addirittura l’esercizio del potere di veto. Conviene ricordare, inoltre, che il settore bancario è già sottoposto a una forma di attenta supervisione da parte della Banca Centrale Europea, che vigila affinché la stabilità del sistema non sia messa a repentaglio da operazioni prive di adeguati fondamentali economici e finanziari.
Si auspica, allora, che il Golden Power non cambi traiettoria, restando saldamente ancorato alla sua missione di strumento di tutela dell’interesse strategico, azionabile solo in difetto di più specifici presidi e quando vi sia un incontrovertibile rischio per la sicurezza nazionale. Sarebbe un peccato rinnegare l’originaria finalità di una disciplina che nell’arco di oltre un decennio, da un lato, ha contribuito ad attrarre gli investimenti esteri e, dall’altro lato, ha consentito al Governo di intervenire calibrando forme e modalità di interventi per salvaguardare l’interesse nazionale.
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