L'editoriale
UniCredit-BPM, cinque princìpi non tecnici per orientarsi nella vicenda. Ora i populisti si tengano alla larga
Cinque princìpi non tecnici ma di sostanza per orientarsi nella vicenda UniCredit-BPM, dal punto di vista di un liberale fautore del mercato.
Primo. Il sistema bancario italiano è una cosa seria, la politica è pregata di non proferire sciocchezze. Come quelle immediatamente pronunciate da Salvini. UniCredit è una banca italiana e non estera, basta vedere dove ha la sede legale e i suoi headquarters. Banca d’Italia, Antitrust e CONSOB hanno competenze istituzionali stabilite dalla legge per assicurare che, nelle operazioni di mercato tra soggetti del credito, siano assicurate: primo, la stabilità finanziaria del mercato del risparmio; secondo, che non si creino posizioni dominanti sul mercato; terzo, che tutte le norme previste per un‘operazione come l’Offerta Pubblica di Scambio titoli dei due istituti non avvenga a scapito di azionisti non di controllo e investitori. In nessun caso i regolatori possono essere tirati per la giacchetta dai politici che chiedono veti e barriere.
Secondo. Orcel sa benissimo di aver lanciato un’offerta di scambio sui titoli BPM di valore troppo contenuto per essere accolta. L’ha fatto con riserva di valutare le contromosse della compagine societaria di BPM, ma intanto per assicurarsi la passivity rule che esclude fino a giugno 2026 BPM dal poter essere soggetto attivo o passivo di fusioni. Il CDA di BPM riunitosi ieri non è una risposta definitiva all’offerta di UniCredit, che arriverà nei tempi previsti dalla legge una volta noti tutti i suoi dettagli. Ma è una risposta giusta nel sottolineare che l’offerta non riconosce il valore attuale di BPM, né il valore aggiuntivo in via di creazione con l’attuazione del piano industriale 2023-2026 approvato un anno fa. Castagna in questi anni si è dimostrato uno dei migliori banchieri italiani: basta dare un’occhiata al bilancio 2023 in cui in un anno il ROE saliva dal 6% all’11%, le sofferenze nette scendevano allo 0.59%, il CET 1 saliva dal 12% al 14%. Non a caso già a maggio scorso Castagna diceva: «BPM a oggi vale almeno 12 miliardi», non i 10 dell’attuale offerta UniCredit.
Terzo. La forza di Castagna è duplice. Da una parte è il banchiere che, nel segmento cui appartiene BPM, si è mosso meglio degli altri nella cura della media e piccola industria, soprattutto in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. Per questo piace molto a salviniani e meloniani. E si era tenuto alla larga dal gioco del risiko perennemente acceso intorno al destino di MPS. Finché però, poche settimane fa, il governo ha incastrato suo malgrado Castagna nell’operazione «terzo polo bancario», caratterizzata dallo slogan sovran-populista «Siena né ai francesi né alla finanza rossa di Unipol». E assegnando a Castagna come partner nello stesso anche i gruppi Caltagirone e Del Vecchio, già impegnati da anni nella battaglia su Mediobanca-Generali che al governo piace molto, al punto da aver ridisegnato a questo scopo le norme sul voto delle assemblee societarie. Tutte considerazioni politiche che con la logica del mercato non c’entrano nulla. La vera domanda è: dal punto di vista del sistema del credito in Italia, ha più senso un’aggregazione vasta, di taglio europeo e coi piedi ben saldi nell’industria come quella UniCredit-BPM o il terzo-polino che ha in mente la politica? La risposta in termini di mercato è una sola: la prima ipotesi.
Quarto. Anche perché la sfida è realizzare gruppi che abbiano taglia europea se vogliamo davvero il mercato unico del credito e del risparmio, senza il quale i capitali europei preferiscono investire negli Usa oltre 300 miliardi di euro l’anno. Ergo, se il governo volesse finalmente adottare questa prospettiva, visto che le banche italiane sono meglio patrimonializzate di quelle tedesche, una vera mano al successo dell’operazione UniCredit-Commerzbank la si dà a Roma se il governo italiano non adotta verso UniCredit sul mercato italiano veti del tutto analoghi a quelli che il governo uscente a Berlino riserva a UniCredit in Germania.
Quinto. Devono essere gli azionisti a decidere sulle operazioni di mercato, e i regolatori poi diranno la loro. Un mondo in cui partiti e governi giudicano su due piedi «ostili» questa o quella operazione di mercato è la replica stantia di mercati segmentati in cui la politica dominava le banche decidendone i vertici nei comitati interministeriali del credito, e imponeva anche a Banca d’Italia la monetizzazione del debito pubblico. Un’epoca di disastri finita da decenni, se la politica non se ne fosse accorta.
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