La riflessione
Golden power, la mossa italiana per attrarre più capitali stranieri
Nel corso delle ultime settimane, a livello politico-mediatico, si è molto parlato del possibile ricorso al golden power in relazione al lancio da parte di Unicredit di un’offerta pubblica di scambio volontaria su Banco Bpm (come se Unicredit non fosse un campione europeo con cuore italiano).
A prescindere da considerazioni sull’applicabilità o meno, in quel caso, di tale potere amministrativo speciale, andrebbe fatta una riflessione sulla necessità di riorganizzare la disciplina del golden power per potenziare questo prezioso strumento, che ha contribuito a tutelare gli interessi strategici italiani di fronte alle sfide poste dalla storia in questi anni, dalla crisi finanziaria europea dei debiti sovrani a quella globale pandemica, fino alla crisi energetica seguita allo scoppio del conflitto russo-ucraino e all’intensificarsi di sofisticate “azioni ibride” ai danni delle democrazie occidentali.
Quello del golden power è un “meccanismo di screening” essenziale per un corretto bilanciamento fra interesse particolare e interesse economico-securitario nazionale. Come tale, andrebbe impiegato senza approcci neo-colbertisti e ricordando che deve essere sempre garantito il diritto costituzionale al libero esercizio dell’iniziativa economica privata. Senza dimenticare che il nostro paese ha un disperato bisogno di attrarre più consistenti capitali stranieri per consentire alle imprese italiane – spesso sottodimensionate – di raggiungere la massa critica per internazionalizzarsi, per conseguire un aumento della competitività e per meglio posizionarsi nel quadro delle catene globali del valore. Al contempo la normativa che regola questo meccanismo andrebbe riordinata per rafforzarlo, certo, ma anche per assicurare un’effettiva equilibrata protezione degli interessi di tutte le parti coinvolte – pubbliche e private – ad esempio fornendo un quadro di garanzie anche per le parti terze chiamate, in sede d’istruttoria, a partecipare al procedimento.
La storia del golden power
In Italia il golden power nasce dalle ceneri del golden share che – nel periodo delle privatizzazioni – fu funzionale a permettere allo Stato il mantenimento di taluni poteri speciali esercitati dal Tesoro in materia di gradimento sull’assunzione di partecipazioni rilevanti o in ordine alla costituzione di patti parasociali, nonché per il veto a non gradite delibere di fusione o scissione, di scioglimento o di trasferimento all’estero della sede sociale. A seguito di pronunce della Corte di Giustizia Ue, il golden share fu in Italia superato con il passaggio al golden power, concepito per garantire il rispetto dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza e per superare i rilievi europei in tema di condotte discriminatorie. Anche per conciliare l’esigenza di un’incisiva tutela degli interessi strategici nazionali con quella, centrale per il tessuto economico, di assicurare adeguata capacità attrattiva per i capitali stranieri e di evitare fenomeni di sudden stop.
La normativa (relativa ai settori della Difesa e della sicurezza nazionale, dei servizi di comunicazione a banda larga basati sul 5G e delle tecnologie rilevanti ai fini della sicurezza energetica, cibernetica, dei trasporti, delle TLC e di altri settori) ha la propria pietra miliare nel convertito D.L. n. 21/2012 ed è stata poi oggetto di numerosi interventi legislativi mirati che, pur tenendo conto delle esigenze di discrezionalità amministrativa e di tutela dei segreti industriali, hanno salvaguardato i diritti delle imprese coinvolte – la società notificante e quella “target” – alle quali viene riconosciuto, oltre al diritto di produrre atti, documenti e memorie, anche la facoltà di essere audite presso la presidenza del Consiglio dei ministri e di esercitare il diritto d’accesso agli atti.
La disciplina italiana del golden power andrebbe dunque riordinata e potenziata, prendendo spunto da quella statunitense che norma le modalità d’intervento del CFIUS. Magari anche riconoscendo alle società terze – coinvolte nel procedimento – maggiori diritti in tema d’accesso agli atti, senza che per far ciò debbano poi in toto aderire alle posizioni del ricorrente o del resistente. Al tempo stesso la politica dovrebbe astenersi dal sollecitare un ricorso eccessivo a questo potere speciale, per non rendere il nostro paese sempre meno attrattivo per i capitali stranieri e per non depotenziare uno strumento oggi assolutamente fondamentale per la tutela degli interessi strategici nazionali.
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