“Humilitas” era il motto – una sola parola in realtà! – scelto da Albino Luciani (1912-1978) al momento della nomina a vescovo nel 1958. Una parola resa concreta dallo stile di vita: sobrio, ma soprattutto vicino alle persone e agli operai durante le vertenze degli operai a Venezia. Allora la notizia della prossima beatificazione di Papa Luciani, cioè Giovanni Paolo I, pontefice per appena 33 giorni, in realtà non colpisce più di tanto, perché era oramai attesa da tempo.

Di Albino Luciani ricordiamo la simpatia, l’immediatezza, l’auto-ironia. Se uniamo queste caratteristiche allo stile di vita, non vediamo che esiste una correlazione tra lui e Papa Francesco? La continuità del papato non è anche in questo? E le “innovazioni” che all’epoca fecero scalpore? Mise in soffitta il plurale maiestatis, rivolgendosi ai fedeli in prima persona. Poi – grande scandalo per l’epoca! – rinunciò all’incoronazione e all’uso della tiara. E così stava iniziando, forse, il periodo che porta a Papa Francesco e a Casa Santa Marta come residenza papale. Albino Luciani era un vescovo solidamente formato nella teologia di prima del Vaticano II (come il gesuita Bergoglio). Aveva partecipato al Concilio e aveva maturato l’idea che al centro della Chiesa ci dovesse essere la “collegialità”. Un’idea appena più ristretta della “sinodalità” che è al centro di Papa Francesco. Era passato attraverso la dittatura italiana del Novecento, aveva delle idee se non “progressiste” quanto meno “reali” in campo morale e sociale, proprio perché era stato povero, frequentava gli operai, era al loro fianco nella vertenza a Marghera negli anni Sessanta.

Negli anni in cui si discute della pillola anticoncezionale, si esprime in favore di un’apertura della Chiesa, avendo contatti e dialogo con le famiglie. Però dopo l’enciclica «Humanae vitae», con cui Paolo VI nel 1968 dichiara illecita la pillola (sul piano morale), l’allora vescovo di Vittorio Veneto si farà promotore del documento, senza riserve. Ma soprattutto era vicino alle persone. Lo disse nel suo stile all’udienza con i conterranei bellunesi: «È stato ricordato dai giornali, anche troppo forse, che la mia famiglia era povera. Posso confermarvi che (…) ho patito veramente la fame; almeno sarò capace di capire i problemi di chi ha fame!». Giovanni XXIII nel 1958 lo nomina vescovo di Vittorio Veneto, respingendo le perplessità riguardo alle cagionevoli condizioni di salute. In quell’ occasione, come riporta Mario Sgarbossa in un suo libro, il Papa commentò: “…vorrà dire che morirà vescovo”. Invece morì il 28 settembre 1978, 33 giorni dopo essere stato eletto Papa, inaugurando la serie dei doppi nomi papali, mai utilizzata prima di lui, in omaggio ai due predecessori: Giovanni XXIII, che appunto lo aveva nominato vescovo e Paolo VI che lo aveva creato cardinale.

Ma pochi mesi prima dell’annuncio (il 5 marzo 1973), nella visita di Paolo VI a Venezia, era accaduto un episodio che fa ancora discutere. Il 16 settembre 1972 il patriarca Luciani ricevette Paolo VI in visita pastorale. Al termine della Messa in piazza San Marco Paolo VI si tolse la stola, la mostrò alla folla e davanti a ventimila persone la mise sulle spalle del patriarca Luciani, con un gesto che sembrava un’investitura, facendolo arrossire per l’imbarazzo.
Da notare che, nonostante gli anni, non si spengono le voci malevole sulla sua morte. Voci nate da un equivoco di quelli tipici della Santa Sede. Sembrava non opportuno o disdicevole, all’epoca, dire che era stata suor Vincenza Taffarel, da sempre accanto a lui, a trovare per prima il papa deceduto nel suo letto. Così all’inizio si disse che era stato il segretario irlandese dell’epoca. Quando venne fuori il nome di suor Vincenza, si alimentarono speculazioni senza fondamento, che a volte ritornano oggi.

Ed ora per salire all’onore degli altari, come si dice, è arrivata la certificazione del miracolo. Come ha reso noto la Congregazione delle cause dei santi per la beatificazione del venerabile servo di Dio Giovanni Paolo I la postulazione aveva presentato all’esame della Congregazione l’asserita guarigione miracolosa, attribuita alla sua intercessione, di una bambina affetta da “grave encefalopatia infiammatoria acuta, stato di male epilettico refrattario maligno, shock settico”. L’evento è accaduto il 23 luglio 2011 a Buenos Aires. E la storia di questo miracolo è sintetizzata dalla stessa Congregazione: «La bambina il 20 marzo 2011, all’età di undici anni, iniziò ad accusare un forte mal di testa che continuò sino al 27 marzo, quando si manifestarono febbre, vomito, disturbi comportamentali e della parola. Lo stesso giorno fu ricoverata d’urgenza a Paraná. Dopo gli esami e le cure del caso, fu formulata la diagnosi di encefalopatia epilettica ad insorgenza acuta, con stato epilettico refrattario ad eziologia sconosciuta. Il quadro clinico era grave, caratterizzato da numerose crisi epilettiche giornaliere, tanto che fu necessario intubarla.

Non essendosi riscontrato alcun miglioramento, il 26 maggio 2011 la piccola venne trasferita, con prognosi riservata, nel reparto di terapia intensiva di un ospedale di Buenos Aires. Il 22 luglio 2011 il quadro clinico peggiorò ulteriormente per la comparsa di uno stato settico da broncopolmonite. I medici curanti convocarono i familiari, prospettando la possibilità di morte imminente. Il 23 luglio 2011, inaspettatamente, vi fu un rapido miglioramento dello shock settico, che continuò. Il 5 settembre la paziente venne dimessa riacquistando completa autonomia fisica e cognitiva. L’iniziativa di invocare Giovanni Paolo I venne presa dal parroco della parrocchia a cui apparteneva il complesso ospedaliero. E per i teologi della Congregazione per le cause dei Santi, si è dimostrato «il nesso causale tra l’invocazione a Giovanni Paolo I e il viraggio favorevole del decorso clinico e la guarigione della bambina».

E poi l’altro mistero – si fa per dire – riguarda le “carte” nelle mani del papa al momento della morte. Qualcuno ha detto che erano gli appunti per l’udienza generale, altri riferiscono si trattasse di provvedimenti (verso i gesuiti?). Manie di complottismo, alimentate da una morte improvvisa e inaspettata. Ma forse, a risentire la voce di Papa Luciani, affannata, con toni accorati, incredulo della nomina, si può immaginare che l’emozione del nuovo ruolo lo abbia sopraffatto, in tutti i sensi. Però ha aperto una porta, che ora vediamo all’opera nel papato attuale: “humilitas” in un caso, “miserando atque eligendo” nell’altro: guardò con misericordia e scelse (dal Vangelo di Matteo). E un altro punto di contatto tra i due papi è nella richiesta ai fedeli di non dimenticarli nelle preghiere. Al “per favore, non dimenticatevi di pregare per me” di Francesco, c’è una eco di Luciani: «Io non ho né la sapientia cordis di papa Giovanni e neanche la preparazione e la cultura di papa Paolo, però sono al loro posto, devo cercare di servire la Chiesa. Spero che mi aiuterete con le vostre preghiere».

 

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Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).