È facile prevedere che gli effetti della guerra assorbiranno gran parte delle risorse stanziate per reagire alla crisi economica e sociale aggravata dalla pandemia. È l’esito inevitabile della combinazione di due disastri. La situazione che si è determinata dovrebbe indurre a ragionare: oltre il denaro, cosa serve per generare resilienza e sviluppo? Da trent’anni l’Unione Europea, principale fonte finanziaria per investimenti pubblici, suggerisce di rafforzare il nesso tra Coesione e Sviluppo, ma questo messaggio sembra incompreso. Prevalgono ancora tendenze a finanziare la crescita senza sviluppo che abbiamo conosciuto nel novecento.

Nel novecento, forse, nella fase del c.d. boom economico, con i soldi si riusciva a mitigare i conflitti tra parti sociali che erano più nettamente identificabili. Quel modello non ha retto. Oggi non basterebbero soldi per corrispondere ai bisogni diffusi che emergono dalla società densa e complessa (Censis ’95). E infatti non bastano. Troppo spesso si tagliano i fondi proprio a quei beni collettivi che sono fattori di Coesione: Sanità, Mobilità, Accesso ai saperi. La distribuzione a pioggia delle risorse alimenta i “conflitti di accaparramento” nella società liquida, producendo ulteriori frantumazioni e frammentazioni, l’opposto della Coesione. La Coesione si costruisce accompagnando il componimento dei conflitti. Fare questo servirebbe anche a prevenire le guerre. In campo sociale ed economico la Coesione è quel bene immateriale che serve a non sprecare risorse: nelle famiglie, nelle imprese, nei condomini, nelle comunità, nei territori alle diverse dimensioni, dai microcosmi locali alla scala globale. Si potrebbe osservare che queste sono riflessioni astratte.

Per farle atterrare nel concreto contesto in cui viviamo e lavoriamo, abbiamo pensato di verificarle prendendo spunto dal libro di Pietro Massimo Busetta, Il lupo e l’agnello, che offre dati e chiavi di lettura sul “mantra del Mezzogiorno assistito”, alla ricerca di soluzioni in questa parte del Paese che fa fatica a trovare efficaci strategie per il proprio sviluppo. Ne discutiamo in un luogo emblematico, Bagnoli, dove la mancanza di Coesione è causa di uno spreco di risorse paesaggistiche, ambientali, produttive, sociali, umane e anche finanziarie che, diversamente raccolte, accompagnate e utilizzate, potrebbero contribuire alla ri-generazione attesa proprio nei trent’anni in cui sono state ignorate le culture comunitarie di Coesione e Sviluppo. La sede che ospita la discussione è ancor più significativa.

Nel Circolo Ilva Bagnoli abbiamo ritrovato sedimenti di quella cultura del Lavoro e della Solidarietà sociale dal cui intreccio genera la Resilienza. In questo luogo il pensiero e l’azione della “comunità operosa” e della “comunità di cura” si fondono e prendono la forza dell’acciaio. Senza alcuna nostalgia per il passato riteniamo che queste siano le tracce da seguire per superare conflitti che si profilano sempre più dirompenti nel tempo che viene. La Coesione sociale viene enfatizzata nella retorica dei comizi; la sua valenza è ormai acclarata, anche scientificamente. È tempo che si navighi con coerenza verso questo orizzonte.