Il Premier Mario Draghi esclude che si prospetti, in Italia, una recessione, ma parla soltanto di rallentamento. Non considera, almeno per ora, l’ipotesi della stagflazione. Quanto allo scostamento di bilancio, dal punto di vista metodologico, ha ragione quando afferma che bisogna prima valutare le misure che sono adottate e la loro adeguatezza, e poi analizzare il tema dello “scostamento”, che però egli, verosimilmente perché ritiene adeguati i provvedimenti che si accinge ad assumere, sin d’ora esclude. Un nuovo stanziamento a debito certamente può essere non una precondizione, ma solo la naturale conseguenza della progettazione di misure necessarie che – per la quantità di risorse occorrenti per la loro adozione, per l’organicità e le connessioni con altre che non è possibile eludere, per evitare di dover a breve ritornare su misure della specie – non possano essere finanziate diversamente se non promuovendo uno “scostamento” che richiede un particolare iter parlamentare. È in una fase quale l’attuale che si parrà la nobilitate vera del Governo e del suo Presidente.

Nel caso delle misure che sono state decise e che passeranno all’esame del Parlamento, una valutazione della qualità e della quantità di risorse che si progetta di impiegare dovrà essere approfonditamente compiuta, anche per il raccordo tra questi interventi a breve e le prospettive a medio e lungo termine per quel che concerne l’approvvigionamento dei carburanti incentrate sul Pnrr. Quest’ultimo, probabilmente, dovrà essere rivisto alla luce di quanto sta accadendo per il mix tra inflazione e impatti della guerra sull’economia. Il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha sottolineato come le prospettive per l’economia siano gravemente peggiorate e come si manifestino a livello globale rischi per la stabilità finanziaria. La Presidente della Bce, Christine Lagarde, in un convegno a Francoforte, ha accentuato la gradualità della normalizzazione della politica monetaria cercando, però, di bilanciare tale azione con la necessità di fronteggiare l’inflazione che, nell’area, potrebbe arrivare, nell’anno, al +7%. Nulla di più preciso si è potuto o voluto dire sulla fine, nel terzo trimestre dell’anno in corso, del quantitative easing che, di fatto, resta confermata anche se sottoposta alla verifica della situazione in prossimità della scadenza.

Gli equilibrismi dialettici ai quali è ricorsa la Presidente sono conseguenza di una realtà dalle prospettive assai incerte, ma anche dei problemi di sintesi degli orientamenti nel Consiglio direttivo dell’Istituto e di una comunicazione istituzionale che ancora lascia molto a desiderare, pur essendo questa funzione una delle principali della politica monetaria. La Federal Reserve ha aumentato i tassi dello 0,25% e si ripropone di attuare, possibilmente nell’anno, altri sei aumenti. Anche la Banca d’Inghilterra ha deciso un ulteriore aumento dello 0,25%. La crescita del Pil in Italia, nella migliore delle ipotesi, si attesterebbe intorno al 3%, se non al di sotto, ben lontano comunque dall’oltre 4% prima previsto, mentre l’inflazione si aggirerebbe sul 5%. Il calmieramento e le mitigazioni dei rincari, i sostegni, i bonus sono essenziali, ma vanno parametrati alle previsioni macroeconomiche e a tutte le stime che saranno riportate nel Def la cui predisposizione ed approvazione verrebbe anticipata.

Vanno altresì resi coerenti con le innovazioni sul piano strutturale. Ma è necessaria una cornice europea adeguata. Perciò non vi dovranno essere dubbi sul rinvio, al termine del 2023, della fine della sospensione del Patto di stabilità – a meno che non si raggiunga un’intesa, a livello europeo, su di una radicale modifica, cosa per nulla facile – così come della proroga della sospensione, che termina a giugno, della disciplina sugli aiuti di Stato. Misure coerenti vanno poi adottate, pure in sede comunitaria, per prevenire i rischi di instabilità finanziaria che un rigorismo restrittivo della Vigilanza bancaria e finanziaria potrebbe finire con il favorire, piuttosto che contrastare. Insomma, occorre agire su due livelli, nazionale ed europeo (e internazionale). Molto dipende, però, dall’evoluzione della guerra. Non sono certo gli impatti dell’economia – pur importanti e tali da doversi puntualmente considerare – la prima osservazione che stimola il conflitto di fronte al massacro di tante vite. Ma bisogna evitare che condizioni di pesanti disagio finiscano pure per attenuare la spinta a sostenere l’Ucraina.