È da tempo che viene ripetuto dal Governo che quelle di fisco, concorrenza, appalti e giustizia sono riforme fondamentali per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e la cui realizzazione è, innanzitutto, condizione per ottenere le previste risorse europee. L’esigenza della loro realizzazione si rafforza in un difficile contesto, nazionale ed europeo, nel quale la guerra scatenata dal dittatore russo violando il diritto internazionale e la pacifica convivenza degli Stati, rende ancor più importante la coesione a livello europeo nella conduzione delle politiche e nell’osservanza delle regole liberamente accettate. E ciò, pur nell’esigenza di riformare in diversi punti la governance comunitaria, a cominciare dalle regole del Patto di stabilità sulla cui revisione si sta necessariamente riflettendo.

Tuttavia il dibattito sulle riforme italiane in questione non è pacifico e il Governo interviene con forti moniti a proposito della contrarietà, espressa in modo aperta dal centrodestra, alla revisione del catasto e arriva a prospettare le proprie dimissioni se dovesse saltare la revisione. Si deve interpretare , però, questa eventualità come una fortissima pressione , da parte dell’Esecutivo, piuttosto che una volontà, vera e propria, di procedere con sicurezza al disimpegno. La riforma , come noto, prevede il conferimento della delega al Governo perché siano aggiornate e integrate le informazioni contenute nel catasto dei fabbricati nell’intero territorio nazionale per un corretto classamento degli immobili. La revisione deve essere disponibile per il 1° gennaio del 2026. In particolare, agli immobili dovrà essere attribuito un valore patrimoniale e si dovrà attualizzare la loro renditatenendo conto dei valori di mercato. Prima ancora, dovranno essere censiti i numerosi immobili che ora sfuggono al catasto. Norme particolari sono previste per i palazzi storici e per quelli di interesse artistico.

È un’operazione importante, che, però, presenta il punto debole allorché si afferma, dall’Esecutivo, che essa ha solo valore statistico e di regolarizzazione, essendo esclusa la finalità di incidere con le imposte. Si aggiunge, però, che poi, nel 2026 chi avrà la competenza deciderà al riguardo. Si tratta, insomma, di un aspetto fondamentale sul quale occorrerebbe maggiore chiarezza. Non convince il fatto che la giusta esigenza conoscitiva possa essere disgiunta da una revisione, sia pure rinviata in dettaglio da qui a quattro anni circa, della tassazione. L’einaudiano “conoscere per deliberare” non può essere limitato solo al primo compito, pur importante. In questo modo si alimentano dubbi, anche quelli non fondati, in un campo come quello della casa che è un bene intoccabile per gli italiani, prova essendone le diverse volte in cui si è tentato di intervenire legislativamente in materia, ma poi si è puntualmente desistito.

Già, da diverse parti, si calcolano le imposte che si dovranno pagare se saranno votate dal Parlamento le innovazioni: un calcolo molto approssimativo, ma comunque lo si fa. La via maestra é, invece, la configurazione delle relative norme di delega in modo tale che impediscano, per quanto sia possibile, l’automatico passaggio all’imposizione tributaria. Naturalmente, saranno pur sempre norme di legge ordinaria, derogabili da una legge successiva o che si potranno aprire ad applicazioni estensive. Tuttavia, prevederle adeguatamente sarebbe un sicuro passo avanti. Diversamente, si rischierebbe, come del resto inizia ad apparire, un forte contrasto dentro e fuori della maggioranza nel momento in cui, per il caso ucraino, dovrebbe essere il più lontano possibile dall’ammissibilità di una crisi di Governo, anche se ciò non deve affatto significare che il relativo rischio sia utilizzato proprio per imporre la scelta dello stesso Governo. Vi è, quindi, una responsabilità primaria di quest’ultimo nel promuovere una convergenza alla quale non può sottrarsi.

Ma anche per gli altri progetti di riforma vi sarebbe non poco da rivedere; la stessa presunta riforma del fisco è parziale e appare più vicina a una razionalizzazione e semplificazione che a una vera rivisitazione sullo stile organico di quelle che furono la “ Visentini” ( inizio anni settanta) e la “ Vanoni” ( anni cinquanta). È addirittura molto più limitata di quella indicata nelle linee generali dal Premier Draghi in occasione del discorso alle Camere per l’insediamento del suo Governo. La revisione della normativa sulla concorrenza indulge, anch’essa, alla parzialità degli interventi e appare frutto di mediazioni che, nel caso delle concessioni balneari, costituiscono un pastrocchio che finirà con il non soddisfare né i rigoristi, né i lassisti, ma soprattutto non soddisferà chi avrebbe voluto una revisione organica, non una sommatoria di interventi slegati tra di loro, senza un chiaro “ fil rouge”.

Si aggiunga che, poi, non si è ancora capito quale sia la posizione del Governo in materia di intervento pubblico in economia, il pendant, insomma, della concorrenza.
Altri punti da rivedere riguardano le riforme degli appalti – a proposito, innanzitutto, del meccanismo di revisione dei prezzi, ma anche delle procedure e dei controlli – e della giustizia. Insomma, si tratta di materie nelle quali è decisamente sconsigliabile l’”aut, aut” del Governo. Meglio farà a valutare le proposte emendative che, se ben formulate, potrebbero far compiere opportuni passi avanti. Come accennato, è fondamentale la coesione delle forze politiche in questo momento.