Elezioni e politica
Intervista a Rino Formica: “Salvini e Di Maio sono gli sconfitti, il voto delle amministrative rinnega quello del 2018”
Di campagne elettorali è costellata la sua lunga e intensa vita politica. È uno degli ultimi “Grandi vecchi” della politica italiana. Grande, Rino Formica, lo è per statura politica e non per anzianità acquisita. Dar conto di tutti gli incarichi di primo piano, di governo – ministro delle Finanze, dei Trasporti, del Commercio con l’estero, del Lavoro e della Previdenza sociale – e di partito, il Psi, che il senatore Formica ha ricoperto, prenderebbe tutto lo spazio di questa intervista. Meglio lasciar spazio alla sua lettura del voto delle amministrative.
Alla vigilia del voto, aveva scritto su Il Domani: «La crisi dei partiti ha investito le istituzioni, ed è una crisi che si vorrebbe risolvere dicendo che non c’è più destra e sinistra ma c’è l’istituzione. Questo porta a una novità: le istituzioni si fanno partito politico. Lo stato diventa partito e per risolvere i conflitti che sono dentro la società reale deve dire che non c’è destra e sinistra. C’è lo stato. Ecco la pericolosa tentazione che vediamo oggi quando il governo e il suo presidente del Consiglio sostengono il superamento di destra e sinistra. Nei partiti politici è in atto la scissione fra componente governativa ed extragovernativa. La polemica fra Giorgetti e Salvini nella Lega, o tra Brunetta e Berlusconi in Forza Italia, nella sostanza racconta che quelli che stanno al governo stanno diventando membri del partito-stato. E il governo è la direzione generale del partito-stato. La quale direzione entra in conflitto non con i partiti in via di estinzione, ormai residuali. Tant’è che i segretari non vengono consultati e il governo, partito con un mix fra tecnici e politici, ora è un tutt’uno omogeneo coordinato da un presidente che ha già sperimentato come si guida una istituzione senza stato, come la Banca centrale europea – che è senza stato ma ha i poteri di un superstato. Ma questo esperimento è applicabile al sistema italiano? Ritengo di no. Lo sarebbe solo con l’abrogazione della dialettica democratica del paese. Ma lo stato che diventa partito non può assorbire i conflitti che ci sono nel paese, che invece continua a tenere aperti i problemi del conflitto sociale e civile…». Formica non veste i panni del “profeta”, ma con Il Riformista rivendica, alla luce dei voto del 3 e 4 ottobre, la giustezza di questa analisi.
Senatore Formica, questo giornale titola in prima: “Le elezioni comunali hanno un solo vincitore: Draghi”. Condivide?
Intanto cerchiamo di andare per ordine. Una premessa è d’obbligo prima di arrivare alla conclusione. E la premessa è: queste sono state elezioni politiche o amministrative?
E qual è la sua risposta?
Ritengo che siano elezioni politiche, anche se all’inizio tutti avevano raccontato che erano elezioni amministrative, perché l’esito era incerto per tutti quanti. Si trattava di una posizione difensiva un po’ di tutte le forze in campo, poter buttare la palla in fallo laterale e di cavarsela dicendo in fondo sono “solo” delle amministrative. Queste invece sono elezioni politiche. E non solo per la vasta platea di elettori, circa 12 milioni, e per un campione che era ben distribuito in tutto il territorio nazionale, nelle grandi città, in quelle medie e piccole. Queste elezioni sono politiche soprattutto perché si andavano a svolgere alla fine di una legislatura, a conclusione cioè di un ciclo politico della legislatura in atto, un ciclo sicuramente molto tormentato, contraddittorio e segnato da un peccato di origine dal quale dobbiamo partire…
Di che peccato si tratta, senatore Formica?
Il peccato di origine è che l’inizio della legislatura avviene sulla base di un esito elettorale che dà la maggioranza assoluta a sovranisti e populisti. Il che è una situazione assolutamente inedita sia per il nostro Paese sia per tutti i Paesi dell’Europa. Maggioranza assoluta a populisti e sovranisti. Questa maggioranza assoluta si riflette ovviamente nella composizione del Parlamento. La rappresentazione di questo successo elettorale inedito di forze anti politiche e anti partitiche tradizionali, è data dal governo Conte. Bisogna partire da un dato: questo voto politico di oggi ribalta quel risultato elettorale originario e batte il primo governo Conte. Chi perde in queste elezioni, e cioè condensa su di sé il giudizio più negativo dall’inizio della legislatura ad oggi, è il governo Conte. Gli sconfitti di questo voto sono: Conte, Salvini e Di Maio. I fautori del primo governo Conte. Questi sono i veri perdenti politici di oggi. Primo punto. Secondo punto: la contraddizione di fondo, che crea una situazione di blocco di questa indicazione elettorale, è data dal fatto che il voto di oggi dà una rappresentanza virtuale della dislocazione delle forze politiche in Italia totalmente diversa da quella del Parlamento attuale. C’è una contraddizione che bisogna innanzitutto risolvere politicamente. Il Parlamento attuale è l’espressione del voto originario di questa legislatura che è stato rinnegato dal voto di oggi, cioè è stato considerato deleterio. C’è un tentativo minimalistico di rattoppare questa contraddizione…
In cosa consiste questo tentativo?
Nel dire: perché non facciamo allora un secondo, o terzo, governo Conte sia pure con una guida magari a guida Enrico Letta, vale a dire un governo 5Stelle-Pd a posizioni rovesciate, cioè con una posizione non egemonica dei 5Stelle sul Pd ma del Pd sui 5Stelle. Roba da gioco delle tre carte. Perché non affronta il nodo politico della contraddizione di fondo, della lettura esatta della tendenza politica e di giudizio politico dell’elettorato di oggi, sull’attività delle forze politiche di questa legislatura e di questo Parlamento che hanno espresso un primo governo, Conte battuto dalle elezioni di oggi, un secondo governo Conte che appare la vocazione rattoppata del voto attuale, ovvero la grande coalizione coatta che è il governo Draghi. E qui torno al titolo de Il Riformista. Non è che vince Draghi, sopravvive Draghi. Che è una cosa diversa. Perché le forze politiche, quella vincente o per lo meno non perdente del Pd, e quelle perdenti del sovranismo e del populismo stanno ancora nel gioco della soluzione di governo che oscilla tra il Conte 1 e il Conte 2. Roba che non sta né in cielo né in terra. E a dare il segno della preoccupazione del Paese è la maggioranza del 50% degli astenuti. Questo voto dell’astensione mai fu così politico come oggi.
Perché?
Perché una parte importante del Paese dà un giudizio negativo sulla situazione politica generale, ma non se la sente di scegliere tra forze che fanno ancora giochi che sono da ancien régime. Allora qui il problema è uno solo: interrogarsi se alla base di questa così larga astensione che investe anche elettori che non vogliono votare contro la propria appartenenza ma non se la sentono di dare una conferma all’appartenenza espressa dalle forze politiche attuali, vi sia “solo” il rigetto di una offerta politica ritenuta insoddisfacente o comunque non motivante al voto…
Oppure?
Oppure se il male è ancora peggiore, più grave, vale a dire una forma di rigetto dell’intero sistema politico. Questa è la lettura più importante. Purtroppo non vedo i partiti capaci di affrontarla. Mentre i partiti – come il Pd, che sono sopravvissuti senza perdite, anzi con un recupero di voti del loro elettorato, e come coloro che sono sopravvissuti all’interno dell’area di centrodestra – tendono a dire: chiudiamo tutto quello che è avvenuto sino ad oggi. In questa chiave, anche il voto suppletivo nei due collegi della Camera va letto attentamente. Nel collegio di Siena, dove ha vinto Letta, cosa c’è? C’è che i due terzi non va a votare e il terzo vuole che sia chiusa la vicenda, senza parlarne più, del Monte dei Paschi. E a Roma cos’è avvenuto? È avvenuto che sia le forze che avevano utilizzato la rivolta nella magistratura di Palamara sia coloro che l’avevano osteggiato, si trovano a dire chiudiamo sta vicenda Palamara e gli hanno dato il quattro per cento. C’è una parte del Paese sommerso fortemente critico col sistema politico che sceglie l’astensione, e una parte che invece tende a dire chiudiamo tutto, anche con un riconoscimento di ciò che è avvenuto in questi ultimi trent’anni di esasperazione nel conflitto politico e dell’utilizzo della giustizia a fini politici, così come dello scandalismo. L’importante è chiudere tutto. E non è senza ragione che nell’area della sinistra nasce il desiderio di dire: come la chiudiamo? Chiudiamola con Berlusconi alla presidenza della Repubblica e con un bel governo neo ulivista possibilmente diretto da Draghi, ma se se la sente con Letta, che governi la prossima legislatura. È tutto qui. La riproposizione, invero molto triste, di dire che il passato è più vivo del presente.
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