Festa Pd a Bologna e Milano, Capitale al ballottaggio
Risultati elezioni comunali: disfatta grillina, per Salvini si apre la resa dei conti nella Lega
Le urne hanno parlato: Gaetano Manfredi (65,83%) è eletto sindaco di Napoli. Beppe Sala è confermato sindaco di Milano con il 56,50. Matteo Lepore entra subito a palazzo d’Accursio, a Bologna, con il 62,40%. Per tutti gli altri, da Roma a Torino, da Trieste a Latina, l’appuntamento è per il 18 ottobre. Due settimane di secondo turno per le amministrative che dovranno portare tutti i partiti a rivedere pesi e misure. A partire dal coinvolgimento di un maggior numero di elettori: a votare sono andati in pochi: il 54,64% in media nazionale. Record negativo storico a Torino e a Milano, e non è un buon segno: decide ormai quindi la maggioranza di una minoranza. Ed è su questo dato macropolitico che andranno poi analizzati i risultati locali.
La disaffezione cresce. L’offerta politica non ha scaldato, a giudicare da un esito che alla fine, nella realtà, non può soddisfare pienamente nessuno. Hanno deluso i candidati del centrodestra, perfino più deboli rispetto ai timori della vigilia: si difende solo Enrico Michetti, a Roma con il 31,40%; delude Damilano, che a Torino si ferma al 39%. Nel campo del centrosinistra, mentre il segretario dem festeggia la sua elezione a deputato di Siena, e il giovane Andrea Casu viene eletto nel collegio romano di Primavalle, si apre la contesa sul Campidoglio. Non ha convinto troppo la candidatura del centrosinistra nella sfida della Capitale, dove Roberto Gualtieri arriva al ballottaggio con solo il 26% e il Pd si ferma al 15% come voto di lista (la lista Calenda, da sola, ha il 17%). A Milano Beppe Sala vince a spasso, mette in ko tecnico il povero Luca Bernardo e riceve 50.000 voti in più della prima volta. Una riconferma che lo colma di soddisfazione (“Con me vince una idea di città”) e lo pone oggettivamente tra i leader del futuro centrosinistra. È il sindaco più votato e non ha la tessera del Pd in tasca, come pure l’ex rettore della Federico II, Manfredi, che sia i dem sia i Cinque Stelle rivendicano, in qualche modo. «I Cinque Stelle vanno bene quando sono in coalizione con noi», si limita a dire Enrico Letta. «Abbiamo bisogno di creare coalizioni larghe per i nostri candidati al ballottaggio».
A essere sconfitto è soprattutto il Movimento – che con i propri candidati di bandiera non va da nessuna parte – e non a caso al momento di andare in stampa non si ha traccia di Giuseppe Conte, né di Luigi Di Maio. Dal Campidoglio non sanno da quale uscita laterale si sia dileguata Virginia Raggi. Al quartier generale dei Cinque Stelle i giornalisti hanno smontato le telecamere. Mai come in questi casi il silenzio è eloquente, parla della fine di un’epoca. A chi chiede al segretario del Pd se Conte rimanga uno dei federatori del centrosinistra, lo stesso risponde definitivo: “Era un’altra fase”. Si apre sin dal primo minuto anche il redde rationem nel centrodestra. Salvini si prende le sue responsabilità: «Abbiamo sbagliato i candidati, li abbiamo scelti tardi». Maurizio Lupi, Noi con l’Italia, lo corregge: «Il centrodestra non è più in grado di scegliere candidati vincenti, non ha più un federatore che lo tiene unito». L’assenza di Silvio Berlusconi dalla scena si fa pesante. L’unico vincitore della tornata tra i governatori va comunque al centrodestra, ed è quello della Calabria, Occhiuto. «Abbiamo bisogno di un federatore», dice anche lui. E sottolinea di aver vinto con “Forza Azzurri”, perché l’esigenza di spostare il baricentro nel campo liberale alla fine paga. Poi Salvini riappare in tv. «Sono abituato a metterci la faccia», dice il leader della Lega, sovrastato da un cartellone che recita ‘chi sbaglia paga’, relativo però ai referendum sulla giustizia, affisso a via Bellerio.
Primo dato che Salvini indica per analizzare il voto è «l’affluenza bassissima, visto che la maggioranza delle persone non ha ritenuto utile andare a votare e questo comporta una autocritica». Poi ammette che «abbiamo presentato, ad esempio a Milano e Bologna, la proposta di cambiamento troppo tardi, senza farci conoscere», dice ancora provando a difendere i candidati civici: «da me non arriverà mai una parola negativa per Bernardo, né per Michetti». Torna alla carica Lupi: «Come ha detto Berlusconi, e io lo condivido, noi ci siamo dati delle regole: il leader del centrodestra è quello che i cittadini scelgono dandogli più voti e Salvini, fino a prova contraria, è il leader del centrodestra – chiarisce Lupi -. Il tema però è che il leader deve fare la sintesi per tutti, tenere conto che la coalizione non vince se non candida persone moderate e credibili. Che ci siamo arrabattati su civico o politico e poi abbiamo visto che il problema era, come in Calabria, candidare persone che potessero raccogliere il consenso. Abbiamo due sfide importanti, Torino e Roma, siamo uniti e cerchiamo almeno di vincere queste due sfide al ballottaggio».
Il risultato di Calenda, il 18% da solo, senza simboli di partito, fa storia. «È l’interlocutore di una convergenza futura», dice di lui Enrico Letta. «Sarebbe il candidato ideale per il centrodestra», rimbalza dall’altra parte Vittorio Sgarbi. Non lo voleva nessuno, adesso tutti lo vogliono. Lui fa un punto stampa sornione e sorridente. «Mi continuo ad occupare della crescita del mio partito, da leader nazionale, ma metto il mio programma a disposizione di tutti, per Roma, come atto di amore per la città». Ha messo insieme quasi il 20 per cento degli elettori, può essere il kingmaker fuori dagli schemi, il federatore di un’area terzista. «Le elezioni comunali segnano una netta e inequivocabile battuta d’arresto del fronte sovranista.
Il risultato di Calenda a Roma dopo una campagna elettorale ammirevole, è un risultato molto positivo e promettente», lo conforta il leader di Più Europa, Benedetto Della Vedova. È però certo che verso il secondo turno i voti di Calenda sono tutti liberi. «Mi hanno votato persone di sinistra, di centro e di destra, ciascuno agirà come crede», chiarisce l’interessato. Nessun accordo all’orizzonte. Mentre Gualtieri, per diventare sindaco di Roma, dovrà scendere a patti, eccome, con i Cinque Stelle.
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