L’esercito invasore russo è arrivato a Kiev. La risposta alla drammaticità della situazione sono ( per ora) le sanzioni adottate dal Consiglio europeo che, secondo la Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, dovrebbero colpire il 60 per cento dell’economia russa. Esse coprono, è stato detto, i settori finanziario, dell’energia, dei trasporti, dei beni a uso civile e militare, ma anche il finanziamento dell’export, la politica dei visti, la condizione e i beni di esponenti politici. Viene, tra l’altro, vietato l’accesso delle banche russe ai mercati finanziari ed europei e il trasferimento di avanzate tecnologie.

La “ratio” di queste misure sta, come accennato, nel colpire l’economia russa, ma secondo una logica ancora di gradualità, pur essendo queste sanzioni, rispetto a precedenti misure, cresciute di livello per la gravità degli impatti. Non si tratta ancora di “armi” micidiali, quale sarebbe l’esclusione della Russia dalla partecipazione al sistema internazionale dei pagamenti, Swift, che, insieme con altre misure, verosimilmente si penserebbe di utilizzare in una eventuale “escalation”, partendo dal presupposto che la crisi non sarà breve. Tuttavia, le pur importanti sanzioni decise dal Consiglio europeo non determinano immediate conseguenze, tali che, avvertite per la loro pesantezza, possano mettere in moto reazioni coerenti da parte dell’opinione pubblica e, soprattutto, da parte delle fasce di popolazione che siano più colpite per il loro reddito. Reazioni che, poi, si dirigerebbero nei confronti dell’autocrate Putin.

Occorre, dunque, fare di più. Qui, naturalmente, entrano in ballo gli interessi e le posizioni dei singoli partner europei e, più in generale, del G7. Misure molto più dure, quale appunto quella concernente lo Swift, avrebbero dei riflessi più negativi delle altre anche per i Paesi che le comminano, fra i quali ovviamente l’Italia, benché si tratti di ripercussioni non certo paragonabili agli effetti primari. Ma, una volta che è stata esclusa, sulla base della mancanza dei presupposti giuridici, la via militare da parte della Nato e si è imboccata l’opzione delle sanzioni, occorre che si sia coerenti con la valutazione dell’assoluta gravità della decisione russa. Se, come giustamente ha detto il Premier Mario Draghi nel suo intervento in Parlamento, siamo nell’ora più buia della storia degli ultimi settanta anni, se è indiscutibile la pesante lesione del diritto internazionale, se le relazioni fra gli Stati dopo quanto è avvenuto saranno completamente diverse da come le abbiamo viste sinora, se percorrere la via del dialogo con la Russia, come il Premier ha sottolineato, è diventato di fatto impossibile per l’atteggiamento di Putin, se dichiariamo piena solidarietà con il popolo ucraino e con il presidente Volodymyr Zelensky (con commozione Draghi ha ricordato il collegamento telematico del Consiglio europeo con quest’ultimo), allora non si può attendere più nel mettere in campo sanzioni pesantissime, abbandonando ogni attendismo anche se fondato su di una scelta di progressività degli interventi.

Sono i Governi e l’Unione europea che sono chiamati ad attenuare i riflessi per i Paesi dell’Unione e, più in generale, dell’Occidente con misure economiche. Il Premier lo ha detto a proposito dell’incremento del prezzo del gas, integrando gli interventi per calmierare gli incrementi con una serie di misure strutturali e, prima, con provvedimenti di stoccaggio che debbono essere compiuti di concerto con l’Unione. Spetta a quest’ultima elaborare un piano che tenga conto delle emergenze che si sono susseguite: dalla pandemia, all’inflazione, alla crisi ucraina. In questo contesto, i programmi per il ripristino delle regole della governance comunitaria, innanzitutto il Patto di stabilità, nel prossimo anno vanno radicalmente rivisti, così come la Bce non potrà non tenere conto della nuova situazione che si è determinata ai fini delle misure non convenzionali di politica monetaria. Insomma, tutti i suddetti riflessi non possono paralizzare le necessarie iniziative di alta efficacia, se non si vuole limitarsi alla prevalente risposta a parole a un atto di guerra che non riguarda soltanto l’Ucraina, ma, per il modo in cui è stato motivato da Putin, con una rozza ricostruzione storica “ad usum delphini”, riguarda direttamente anche l’Europa tutta, insomma pure noi.

Zelensky, in una drammatica dichiarazione, ieri ha chiesto anche risposte sul ruolo della Nato e sull’adesione ad essa da parte del suo Paese, aggiungendo che i riscontri non arrivano, perché tutti hanno paura. Non è più il tempo dell’indugio. A volte viene evocata la frase “morire per Danzica”, (ma non significava morire, bensì lottare, intervenire) cosa che non si volle fare e da lì iniziò, con l’attacco tedesco, la seconda guerra mondiale. È noto il sermone di un pastore, riportato da Brecht, sull’indifferenza dimostrata da categorie che non si ritenevano attaccabili dal nazismo e, invece, a poco a poco purtroppo ne furono vittime. Sono vicende e apologhi che potrebbero estendersi anche all’oggi e completamente agli Stati. Bisogna evitare che ciò accada.