L’Italia, sotto la sua guida, è diventata la quinta potenza industriale del mondo, sorpassando la Gran Bretagna. Soprattutto Craxi ha individuato un ruolo per l’Italia nel mondo e ha fatto sì che il nostro Paese fosse da tutti rispettato. Sigonella fu ovviamente la prova del nove, con la difesa strenua della nostra sovranità nei confronti di Ronald Reagan (che comunque ebbe modo poi dire che Craxi si era comportato da grande). Un paradosso solo apparente che a non soccombere alle richieste americane fosse uno dei più atlantisti dei leader italiani! E poi c’era l’attenzione per i movimenti di liberazione nazionale, in un’ottica garibaldina e mazziniana insieme, risorgimentale. E la lotta alla povertà, e a ogni tipo di dittatura. Amava la libertà sopra ogni cosa, perché, come è scritto sulla sua lapide, la libertà equivale alla vita.

Qualcuno potrebbe pensare che le celebrazioni di Hammamet di questi giorni, con la infaticabile figlia Stefania a far da motore, abbiano guardato al passato, non fosse altro per la presenza di tutti i leader di un tempo (da Margherita Boniver a Claudio Martelli, da Ugo Intini a Claudio Signorile) e per quella di tanti dirigenti anche locali del vecchio Psi. Non bisogna lasciarsi ingannare: esse guardano al futuro. L’Italia è ferma proprio perché quella cultura cattocomunista e azionista che ostacolò Craxi la blocca ancora oggi. Craxi parla a noi anche se non avrebbe probabilmente capito certe derive della postpolitica. Lui che della politica aveva fatto il pane quotidiano.

E la sua fine, come dice Marcello Sorgi nel suo libro appena uscito (Presunto colpevole, Einaudi) «concluse gli anni Novanta e consegnò alla storia del Novecento il principio del primato della politica, mettendoci una bella pietra sopra».