La lettera
Da eroi a perseguitati, lo strano caso di 50 medici finiti sotto processo
E alla fine, dei poster giganti, delle lettere strappalacrime, dei ringraziamenti pubblici, rimasero solo gli slogan: vuoti, retorici. Gli eroi che si immolano per salvarci dalla pandemia non vanno più di moda, diventano sempre più invisi. E a Milano, una cinquantina di medici che hanno osato parlare delle condizioni drammatiche degli ospedali Santi Paolo e Carlo, rischiano pesanti azioni disciplinari. È successo che più di un mese fa, il capo dipartimento della emergenza e urgenza, Francesca Cortellaro, abbia anticipato alla direzione il contenuto di una missiva in cui cinquanta dottori denunciavano la mancanza di personale e di strumenti, indispensabili per la cura dei malati di coronavirus. Dal testo si evinceva il collasso delle strutture, e la capo dipartimento chiedeva alla direzione la chiusura delle emergenze e delle urgenze: stop al pronto soccorso.
La lettera era uno strumento destinato a informazione interna, però è circolata fuoriuscendo dal circuito degli ospedali. È finita sull’informazione. Francesca Cortellaro, in appoggio al direttore generale Matteo Stocco, è intervenuta per sconfessare i medici e sostenere la non verità della denuncia. I cinquanta camici bianchi non sono arretrati, anzi, hanno parlato di insostenibili scelte etiche, nella decisione di -a chi dedicare le cure possibili: la scelta di chi salvare e chi no. Si è così arrivati a una paradossale resa dei conti in cui i cinquanta sanitari, al momento, rappresentano la parte più fragile. Uno scontro senza tregua fra i medici e il direttore generale Matteo Stocco, con una faglia esiziale fra personale e dirigenza sanitaria: giusto ciò che non serviva di fronte a un nemico pandemico che la tregua non la concede a nessuno e sfrutta le inefficienze per colpire duro. E i medici, gli infermieri, gli oss, sono quelli che stanno sulla linea del fuoco, lo fanno spesso senza armi. Sono pochi e con mezzi insufficienti: ci sono stati più di 300 infettati fra il personale.
Gente che ha avuto fretta di guarire, quella che ce l’ha fatta, e tornare in faccia al fuoco. E delle tante assunzioni promesse è arrivata solo qualche unità, i precari che erano giunti durante la prima ondata dell’infezione sono poi andati via quando il pericolo è sembrato smorzarsi perché non avevano riscontrato buone prospettive professionali e umane, e quelli non ci sono venuti ora che l’incubo è tornato, con il rischio di ammalarsi e ritrovare le identiche prospettive della volta scorsa, perché quelli di fuori hanno afferrato subito che la direzione sanitaria non viaggia esattamente fianco a fianco col personale, una sensazione brutta, diffusa. Così la prima a cadere è stata proprio la capo dipartimento delle emergenze e urgenze: in mezzo fra le denunce dei medici e i provvedimenti del direttore. La Cortellaro è stata sospesa. Ma la protesta rischia di diventare incontenibile. Proprio quello che non avrebbe dovuto accadere.
E mentre tutti guardavano alla Calabria, o al Sud, come figlio reprobo di una sanità altrimenti virtuosa, il bubbone sta esplodendo in un pezzo di sanità finora ritenuto fra i migliori, in una Regione che non è riuscita a sopperire alle carenze della fase iniziale della pandemia, in una Regione che ha sbagliato nell’approvvigionamento dei vaccini influenzali, che non sono stati sufficienti nemmeno per le categorie a rischio, e ciò comporterà un intasamento di ospedali e ambulatori medici, di gente con gli stessi sintomi del coronavirus. Tutto non è un buon viatico per la fase che arriverà del vaccino contro il covid19. Tutto è paradossale, se chi è stato e dovrebbe ancora essere sugli altari, rischia invece di incappare nelle sanzioni solo per aver sostenuto la verità di chi opera in prima linea. Tutto, un grande regalo al coronavirus.
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