La notizia nei tg è stata data in coppia con il prosieguo inconcludente del dibattito sul Mes sanitario. La procura di Bergamo ha acquisito le cartelle cliniche di 110 polmoniti di origine sconosciuta nella mancata (insieme a Nembro) “zona rossa” di Alzano ben prima che fosse lanciato l’allarme per il coronavirus. Queste polmoniti sarebbero state 18 a novembre, 40 a dicembre e 52 a gennaio. In tutto il 2019, 256 contro le 196 dell’anno prima, un aumento di circa il 30%. Una “anomalia” ora sottoposta all’approfondimento investigativo della Procura.  Lungi da noi l’intenzione di cimentarsi con il diritto penale (che è divenuto ormai “totale” perché è entrato a far parte della vita di ciascuno), ma è difficile individuare una qualsiasi tipologia di reato quando la scienza medica non riconosce un virus sconosciuto, del quale è possibile stabilire la natura solo a posteriori, ora per allora.

In parole povere è possibile stabilire, adesso, che quella era un’anticipazione della pandemia grazie alla conoscenza che oggi le strutture sanitarie hanno accumulato sul virus, i suoi effetti, le opportune profilassi e terapie. Siamo forse tornati al principio del “non poteva non sapere” usato, durante Tangentopoli, per incriminare i segretari dei partiti, ad eccezione di quello del Pds (che evidentemente era tenuto all’oscuro di tutto)? Tanto, per chiudere il caso, a Primo Greganti bastò non fare il nome della persona a cui aveva consegnato, all’interno del Bottegone, la valigetta con il denaro. Lo stesso criterio fu usato con Silvio Berlusconi nel processo di cui si parla, grazie a Il Riformista: il Cav non aveva cariche societarie, ma venne riconosciuto ugualmente responsabile di una truffa fiscale ai danni dello Stato, nonostante che fosse uno dei maggiori contribuenti.

Tornando al Covid-19, se si spulciano le cronache locali, ci si accorge che nei loro esposti i vari comitati dei parenti delle vittime non si limitano a chiedere giustizia in generale, prendendo di mira la responsabilità delle istituzioni nell’azione di contrasto dell’epidemia. Anche in questo caso le procure sono alla ricerca di una probatio diabolica, perché non sono in grado di stabilire quali fossero i comportamenti corretti degli amministratori pubblici, per gestire una crisi sanitaria sempre più grave. Anche in questo caso, si assumono a posteriori i provvedimenti che hanno dato migliori risultati e su quella base si sanzionano coloro che hanno tentato di percorrere altre strade? È troppo facile “fare giustizia” in modo retroattivo, indicando mesi dopo la linea di condotta che avrebbe dovuto essere seguita, solo perché 100 giorni dopo si scopre che una linea diversa, di cui si sono avvalse altre amministrazioni, ha fornito dei risultati più sostenibili. E se i politici mettessero a disposizione i pareri degli scienziati, le procure decideranno quelli che erano azzeccati e quelli no?

Ma i familiari delle vittime, nei loro esposti, prendono di mira casi singoli; chiedono di verificare come i medici di un reparto hanno curato un loro famigliare rispetto a un altro che magari stava nella stessa stanza. Come possono dei magistrati definire, in astratto e al di fuori della drammaticità di quei momenti, le terapie che sarebbero state corrette in quel particolare caso? Si dirà che c’è l’obbligo dell’azione penale. Ma se davvero (speriamo di no) in autunno il virus dovesse ripresentarsi di nuovo con grande intensità, il personale sanitario mostrerebbe lo stesso coraggio, la stessa abnegazione che venivano decantati dai muezzin de noantri dai balconi, alle 18 di ogni giorno, in contemporanea con la solennità dei bollettini della Protezione civile? Quanto al virus, gli italiani si sono accorti che è ancora tra di noi. Certo la sua “forza propulsiva” si è ridotta. Ma la vera “piccola differenza” la stanno facendo i media, soprattutto le tv che per mesi non hanno parlato altro che del virus, dal mattino alla notte e che ora hanno cambiato linea.

Queste considerazioni ci portano direttamente al dibattito sul Mes. A parte le paturnie del M5s (nella vita capita di incontrare persone che non si siedono a tavola se i commensali sono 13 o cambiano strada se l’attraversa un gatto nero oppure pensano che il Mes sia arrivato sull’onda di una scia chimica), sorge il dubbio che il governo non saprebbe come spendere i 36 miliardi che gli arriverebbero, sia pure nell’arco di alcuni anni. Non siamo riusciti a risolvere per tempo neppure il problema delle mascherine; l’alcol denaturato – se lo si trova – viene conservato in cantina nelle botti al posto dell’aceto balsamico. Dove è stato possibile la maggiore capacità di tenuta degli ospedali deriva dalla trasformazione di interi padiglioni in terapia intensiva, convertendo le strutture adibite alla cura di altre gravi malattie; sono aumentate le liste di attesa anche per accertamenti indispensabili. Ma soprattutto l’epidemia ha messo in evidenza la fragilità della medicina territoriale e di base. Occorrono quindi delle scelte politiche e degli investimenti mirati, alternativi alle spinte che l’epidemia ha rimesso in moto: la riapertura degli ospedaletti sparsi nel territorio e chiusi a fatica (contro il parere delle comunità in cui erano allocati) negli ultimi anni, perché inadeguati a qualsiasi tipo di assistenza di un certo impegno terapeutico.

Le strutture sanitarie del Paese – encomiabile il comportamento del personale – hanno retto bene la prima andata del virus e oggi sono meglio attrezzate ad affrontare una eventuale ricaduta. Ma dei cambiamenti sono necessari perché tra le patologie non vi è solo la polmonite da Covid-19. E costano. Il Mes fornisce la possibilità di affrontare questi oneri a buon mercato. Se poi vi è l’intenzione di ridurre le imposte – a cominciare dall’Irap – sarebbe il caso di tener presente che questa tassa è utilizzata per coprire circa la metà della spesa sostenuta dalle Regioni. Disporre allora di entrate sostitutive potrebbe consentire di ridurre quelle ordinarie. Il vero problema del governo è il suo encefalogramma piatto. La parata degli Stati generali ne è stata la dimostrazione.

Il piano inclinato su cui sta scivolando il Paese è quello dell’assistenzialismo, dell’immobilismo, della difesa dai traumi del cambiamento. Non a caso la richiesta dei sindacati – che il governo si appresta ad accogliere – è la proroga della cassa integrazione (si tratta di più di 3miliardi al mese) e del blocco dei licenziamenti fino a tutto l’anno in corso: una strada quest’ultima, molto insidiosa, dalla quale, più si va avanti e più diventa difficile tornare alla normalità.

In questo modo si finisce soltanto per mettere in terapia intensiva l’economia e preservare, il più a lungo possibile, posti di lavoro finti. Magari, se ci saranno risorse a fondo perduto (le sole che interessano veramente al governo), lo Stato cercherà anche di garantire alle aziende – tramite agevolazioni fiscali e sussidi di vario tipo – parte del fatturato che non riescono a produrre. Si spiega così l’atteggiamento di riserva che molti partner europei hanno nei confronti del Recovery Fund (o come si chiama adesso) e delle risorse che dovrebbero essere rese disponibili per l’Italia. La questione più grave del Belpaese è quella di avere un governo inamovibile (per tante valide ragioni), ma incapace di esprimere un “pensiero” politico compiuto.