Per i russi, Dezinformacija è molto più che una semplice espressione per indicare le fake news. Questa parola, potente e immediatamente comprensibile, si riferisce a un sistema articolato e coerente di menzogne, manipolazioni e travestimenti della realtà. Un’arma strategica, affinata durante l’epoca sovietica e oggi più che mai al centro delle politiche del Cremlino.

L’ex KGB

Vladimir Putin ha appreso quest’arte negli anni Settanta, quando era un funzionario del KGB. Da allora, questa tecnica è diventata una componente chiave delle sue strategie di comunicazione. È con la Disinformatia che ha giustificato l’invasione dell’Ucraina nel suo paese, costruendo un racconto alternativo, in cui la Russia appare come vittima e non come aggressore. Con la caduta del Muro di Berlino e la fine dell’URSS, la macchina propagandistica sovietica si è trasformata, adattandosi ai tempi: dai media statali e dalle radio filogovernative che trasmettevano in varie lingue, si è passati alle più sofisticate piattaforme digitali. Eppure, dietro le quinte, spesso gli attori sono rimasti gli stessi.

Una nuova versione dei fatti

Una delle narrazioni più persistenti era – ed è – quella della Russia vittima dell’imperialismo occidentale. Oggi questa impostazione si ripete: nella guerra in Ucraina, secondo i media russi, Mosca è sotto attacco e Kiev è l’aggressore, grazie alle armi dell’Occidente. I principali canali statali, Rossiya 1 e Channel One, propongono una versione dei fatti totalmente fuori dalla realtà: l’esercito ucraino viene descritto come criminale, accusato di usare i civili come scudi umani, di bombardare deliberatamente aree residenziali, e perfino di pianificare attacchi chimici contro la propria popolazione. Accuse infondate, certo. Ma non nuove. La stessa logica disinformativa era in atto il 24 ottobre 1956, durante l’invasione sovietica dell’Ungheria.

Il precedente

Quel giorno, l’Unità di Milano, diretta da Davide Lajolo, titolava: «Tentativo reazionario di distorcere il processo di democratizzazione. Scontri nelle vie di Budapest provocati da gruppi armati». Mentre migliaia di giovani ungheresi chiedevano libertà e democrazia, la propaganda sovietica li dipingeva come provocatori reazionari, nemici dell’ordine socialista. Persino una figura come Pietro Ingrao, allora direttore dell’Unità, scrisse un editoriale in cui legittimava la repressione sovietica: «Quando crepitano le armi dei controrivoluzionari, si sta da una parte o dall’altra della barricata». Solo decenni dopo, nel 2001, Ingrao definì “pessimo” quell’articolo, riconoscendo di essere stato vittima – anche lui – della Disinformatia.

Le bugie si diffondo in fretta

Oggi, le bugie si diffondono più in fretta, e la tecnologia ha moltiplicato le armi della propaganda. La nuova frontiera è l’intelligenza artificiale: secondo diverse inchieste, la rete di siti Pravda – con sede a Mosca – nel solo 2024 ha diffuso oltre 3,6 milioni di articoli falsi a favore del Cremlino, nel tentativo di inquinare le fonti di apprendimento dei chatbot e alterare le risposte fornite agli utenti. L’obiettivo non è solo informare in modo distorto, ma influenzare direttamente l’intelligenza artificiale che guiderà la società futura.

Una strategia pericolosa, che ha ampliato e moltiplicato l’effetto della propaganda classica. Migliaia di questi contenuti, ad esempio, hanno rilanciato il parallelismo voluto da Putin tra la guerra in Ucraina e l’invasione nazista del 1941. L’obiettivo? Presentare la Russia come la nuova vittima di un’aggressione, cancellando le responsabilità del presente con i fantasmi del passato. «Non commetteremo questo errore una seconda volta. Non abbiamo il diritto di farlo», ha dichiarato Putin. Come se fosse Kiev ad aver invaso la Russia, e non il contrario.