È morto, “l’ultimo maestro della musica napoletana” come lo stanno definendo in tanti in queste ore, Fausto Cigliano. Aveva 85 anni – li aveva compiuti due giorni fa. È morto a Roma, la scorsa notte, dove viveva da tempo e dov’era stato ricoverato al Policlinico Gemelli in seguito ad alcuni problemi ai reni di cui soffriva da tempo. Autore e chitarrista raffinato, si era allontanato dalle scene soltanto negli ultimi anni dopo aver attraversato la grande tradizione della canzone napoletana.

Cigliano era nato a Napoli nel 1937, figlio di un comandante dei vigili urbani, che perse quando aveva solo 15 anni. Da giovanissimo si era innamorato della chitarra e di Roberto Murolo. Fu notato a 17 anni dalla Rai e debuttò nel 1956 al Festival di Napoli come “riassuntore” dei motivi in gara. È stato molto popolare tra gli anni ’50 e ’60 e ha scritto tantissimi tra 45, 33 e 78 giri in una copiosa produzione, spesso in coppia con il maestro della chitarra Mario Gangi. L’ultimo disco, nel 2013, Silenzio Cantatore con Gabriella Pascale. Aveva vinto un festival di Napoli nel 1959 con Sarrà chi sà (scritta proprio da Murolo con Renato Forlani) insieme con Teddy Reno. Lo stesso anno aveva esordito al Festival di Sanremo dove sarebbe tornato altre due volte, un delle quali con il brano E se domani, di Carlo Alberto Rossi e Giorgio Calabrese, portato al successo da Mina. Era arrivato alla finale di Canzonissima nel 1967.

Cigliano aveva lavorato anche per il cinema: sua la musica della chitarra in Identificazione di una donna di Michelangelo Antonioni. È stato anche attore, in film come Cerasella e Guardia, ladro e cameriera di Steno. John Turturro, attore e regista americano, lo aveva voluto nel 2009 ai piedi del Caravaggio al Pio Monte della Misercordia, “Sette opere della misericordia”, per la sua antologia cinematografica della canzone napoletana Passione. Altro omaggio, da parte del Comune di Napoli, nel 2015, quando venne premiato come ambasciatore della musica napoletana del mondo in occasione dei suoi 60 anni di carriera.

Aveva tradotto in napoletano anche alcuni classici napoletani degli anni ’40 e ’50 resi noti da Nat King Cole e interpretato classici come Sergio Bruni e Renato Carosone fino a brani di Enzo Gragnaniello, Franco Del Prete e Almamegretta. Per anni è stato tra gli ultimi rappresentanti, un monumento della musica napoletana, con l’obbiettivo di preservarla, in qualche caso anche sperimentando. Oltre alla sua arte, alla sua voce di velluto e al “recitar cantando” che aveva appreso e fatto anche suo, in queste ore in tanti ricordano la sua eleganza, i modi gentili, la gentilezza e i modi cortesi di un gentleman d’altri tempi, di un’altra Napoli anche.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.