Il decreto “Cura Italia”, ha disposto  la sospensione delle udienze per il periodo dal 9 marzo al 11 maggio. Ma il riavvio delle attività preoccupa e non poco chi frequenta le aule. Saranno rispettate e tutelate le norme di sicurezza? A denunciare le sue preoccupazioni è l’avvocato Nicomede Di Michele, civilista, in una lettera al Riformista che pubblichiamo di seguito.

A breve ricominceremo. Non nascondo, però, la mia preoccupazione, viste le caratteristiche dell’edificio nel quale è allocato sia il Tribunale di Napoli Nord sia il Giudice di Pace. Sicuramente siamo tutti d’accordo nel ritenere che la ripresa dell’attività giudiziaria debba avvenire nel pieno rispetto della sicurezza e della salute degli operatori e delle parti. Diversamente non sarebbe possibile. Purtroppo i Palazzi di giustizia, tutti o quasi tutti, nei quali svolgiamo la nostra attività, allo stato non garantiscono il distanziamento sociale: aule piccole, corridoi angusti e limitati spazi, interni ed esterni, dotazioni che incidono fortemente sul concetto di sicurezza sul lavoro e, quindi, sulla salute di chi vi opera, in violazione del precetto contenuto nell’art. 2087 c.c. A questo punto, non me ne vogliano i dissenzienti, una riflessione sull’edilizia giudiziaria, visto il momento emergenziale, credo che vada fatta, in piena libertà ed in modo responsabile.

Al fine di contenere la diffusione della epidemia da Covid 19 si è provveduto a trasformare il processo civile, da orale a scritto, con la creazione di aule o stanze virtuali. Una scelta che avrà il duplice effetto, da un lato, di ridurre la presenza in Tribunale o in Corte di appello degli operatori (avvocati, consulenti, parti, testimoni) e del pubblico e, dall’altro lato, di ottimizzare l’impiego delle strutture esistenti. Ma tutto ciò potrebbe non bastare. Attraverso un’analisi da eseguirsi caso per caso e sulla base di valutazioni non condizionabili da interessi di varia natura, occorrerà verificare la idoneità dei singoli edifici, secondo il parametro del distanziamento sociale, al momento l’unico in grado di soddisfare quelle esigenze di tutela della sicurezza di coloro che vi lavorano.

Accertata l’inadeguatezza di un edificio, posizioni individualistiche o di settore dovranno fare necessariamente un passo indietro e accettare senza remore scelte da adottarsi nel solo ed esclusivo interesse della salute pubblica. Qualora dovessimo ritenere che l’edificio in cui è situato il Tribunale di Napoli Nord non rispetti il criterio di adeguatezza non sarebbe affatto peregrino pensare, senza voler rinunciare alla geografia giudiziaria, di trasferire e trattare, pur se temporaneamente, gli affari al Palazzo di giustizia presso il Centro Direzionale di Napoli. Del resto non sarebbe né la prima né l’ultima volta. Non a caso nel 1492, per una epidemia di peste, da Napoli la Gran Corte della Vicaria venne trasferita a Frattamaggiore in un palazzo che da allora in poi si denominò Palazzo del Vicario: qui per circa un anno si riunirono i giudici del Tribunale più importante del Regno di Napoli che giudicava i reati penali e i crimini.

In una siffatta ipotesi, ovviamente, andrebbe eseguita una diversa rimodulazione e distribuzione degli uffici e delle aule, non più in senso verticale, destinando, ad esempio, i primi piani delle Torri A, B e C al Tribunale di Napoli, quelli superiori al Tribunale di Napoli Nord e così via. In questo modo si potrebbe garantire una gestione in sicurezza della ridotta e calendarizzata presenza di pubblico e operatori, oltre che dello stesso personale di cancelleria e dei magistrati, per l’elevato numero di ascensori, rampe di scale, ampi corridoi e spazi dislocati in più punti che, adeguatamente gestiti, eviterebbero incroci e/o assembramenti.

Inoltre, l’ampiezza delle aule di cui è dotato il Palazzo di giustizia del Centro Direzionale consentirebbe il giusto distanziamento sociale durante le udienze istruttorie, camerali e/o collegiali, per le quali è prevista la presenza degli avvocati, delle parti, dei consulenti o dei testimoni. Per la situazione di emergenza che stiamo vivendo anche noi civilisti dobbiamo fare appello al senso di solidarietà giuridica e riconoscere che gli interessi trattati nei processi penali hanno sicuramente un valore sociale maggiore rispetto agli “affari” civili, fermo restando che tutte le problematiche di ambito civilistico di forte impatto sociale avranno la stessa considerazione prevista per i processi penali. Garantire alla Giustizia penale o civile nel senso di cui sopra, la possibilità di poter operare ancora secondo i “vecchi” canoni significa, per noi civilisti puri, accettare l’idea che lavorare in remoto, salvo richiedere una trattazione de visu, non può che rappresentare, in questo particolare momento, un contributo di partecipazione alla lotta contro l’epidemia.

Una condizione, quella del possibile trasferimento, che non vuol essere mera rinuncia al proprio status, ma semplice accettazione dell’idea di poter operare in condizioni di massima tranquillità, almeno fino a quando non verranno apportate adeguate modifiche alle attuali strutture, tali da essere idonee nel rispetto dei parametri che il momento storico impone.

Nicomede Di Michele

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