L'intervista
Claudio Botti: “Non temiamo tecnologia, sì ad atti via Pec”

“C’è il rischio che molti colleghi, oggi alle prese con le ristrettezze economiche provocate dalla crisi, accettino l’azzeramento delle garanzie e dei diritti che il processo penale telematico porta con sé. E ciò va impedito con qualsiasi mezzo”. Ne è convinto Claudio Botti, penalista napoletano di grido, che mette in guardia dal rendere definitive le soluzioni recentemente adottate dai vertici degli uffici giudiziari per gestire il processo ‘a distanza’.
Perché il pericolo riguarda soprattutto i giovani avvocati?
“Nel distretto di Corte d’appello di Napoli migliaia di colleghi hanno chiesto il bonus da 600 euro previsto dal governo nazionale per i titolari di partita Iva che abbiano subito una riduzione degli introiti a causa delle restrizioni imposte per arginare la diffusione del Coronavirus. Ciò dimostra la proletarizzazione di cui è protagonista la classe forense che, almeno in una sua parte, potrebbe vedere nel processo telematico una soluzione definitiva a certi problemi. Invece la gestione del processo a distanza può ritenersi ammissibile soltanto per periodi di tempo limitati”.
Eppure la partecipazione al processo a distanza è prevista persino per i detenuti in regime di 41-bis…
“Proprio a questo proposito ricordo casi di inconcepibili intrusioni di agenti della polizia penitenziaria durante i colloqui a distanza affrontati dai detenuti. Il rischio risiede proprio nel fatto che il Covid-19 tenga l’imputato e il difensore lontano dal processo, mentre quest’ultimo necessita della contestuale presenza fisica delle parti. Senza dimenticare che il rapporto tra imputato e difensore presuppone un confronto continuo e necessariamente riservato. Come si può immaginare l’esame incrociato di un teste a distanza?”
I dati relativi al processo civile telematico parlano di un vertiginoso aumento delle cause per responsabilità civile degli avvocati legate a errori materiali: da 70 a 400 l’anno. Il processo penale telematico nasconde anche questa insidia?
“Mi sembra una valutazione marginale, per quanto corroborata dalle statistiche. Premesso che il rito civile è documentale e scritto mentre quello penale è caratterizzato dall’oralità, bisogna ricordare che la presenza di un avvocato in sede di udienza penale è doverosa e che il sistema giudiziario è tenuto a garantirla. Non a caso il codice di rito, con riferimento a molteplici circostanze, impone la presenza fisica di determinati soggetti a pena di nullità delle attività svolte”.
Quindi tecnologia e giustizia penale sono destinati a rimanere due realtà inconciliabili?
“No. Si cominci a consentire ai penalisti di utilizzare la posta elettronica certificata non solo per ricevere notifiche, ma anche per depositare motivi di appello, ricorsi per cassazione, memorie al giudice o al pm e atti simili. Per il resto, ogni altra forma di gestione telematica del processo penale deve essere eccezionale e temporanea”.
Il rischio che le novità in materia di processo penale divengano prassi, al termine dell’emergenza sanitaria che ha imposto la chiusura degli uffici giudiziari, è stato denunciato dall’Unione delle Camere Penali. La magistratura, invece, sembra divisa. Che cosa ne pensa?
“Conclusa l’emergenza, anche l’Ordine degli avvocati dovrà innalzare una barriera di assoluta intransigenza rispetto al rischio che il processo penale si trasformi definitivamente in telematico. Per il resto, solo magistrati come Gratteri e Davigo non perdono occasione per veicolare l’idea che il processo sia un mezzo per arrivare a una condanna e non per accertare un’eventuale responsabilità penale. Perciò non mi meraviglia che vedano di buon occhio certe novità che violano la Costituzione e stravolgono le caratteristiche del rito accusatorio”.
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